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LXXIX.

Il giovane non acquista mai l’arte del vivere, non ha, si può dire, un successo prospero nella societá, e non prova nell’uso di quella alcun piacere, finché dura in lui la veemenza dei desiderii. Piú ch’egli si raffredda, piú diventa abile a trattare gli uomini e sé stesso. La natura, benignamente come suole, ha ordinato che l’uomo non impari a vivere se non a proporzione che le cause di vivere gli s’involano; non sappia le vie di venire a’ suoi fini se non cessato che ha di [p. 48 modifica]apprezzarli come felicitá celesti, e quando l’ottenerli non gli può arrecare allegrezza piú che mediocre; non goda se non divenuto incapace di godimenti vivi. Molti si trovano assai giovani di tempo in questo stato ch’io dico; e riescono non di rado bene, perché desiderano leggermente; essendo nei loro animi anticipata da un concorso di esperienza e d’ingegno, l’etá virile. Altri non giungono al detto stato mai nella vita loro; e sono quei pochi in cui la forza de’ sentimenti è sí grande in principio, che per corso d’anni non vien meno: i quali piú che tutti gli altri godrebbero nella vita, se la natura avesse destinata la vita a godere. Questi per lo contrario sono infelicissimi e bambini fino alla morte nell’uso del mondo, che non possono apprendere.