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48 pensieri - lxxx-lxxxi

apprezzarli come felicitá celesti, e quando l’ottenerli non gli può arrecare allegrezza piú che mediocre; non goda se non divenuto incapace di godimenti vivi. Molti si trovano assai giovani di tempo in questo stato ch’io dico; e riescono non di rado bene, perché desiderano leggermente; essendo nei loro animi anticipata da un concorso di esperienza e d’ingegno, l’etá virile. Altri non giungono al detto stato mai nella vita loro; e sono quei pochi in cui la forza de’ sentimenti è sí grande in principio, che per corso d’anni non vien meno: i quali piú che tutti gli altri godrebbero nella vita, se la natura avesse destinata la vita a godere. Questi per lo contrario sono infelicissimi e bambini fino alla morte nell’uso del mondo, che non possono apprendere.

LXXX.

Rivedendo in capo di qualche anno una persona ch’io avessi conosciuta giovane, sempre alla prima giunta mi è paruto vedere uno che avesse sofferto qualche grande sventura. L’aspetto della gioia e della confidenza non è proprio che della prima etá: e il sentimento di ciò che si va perdendo, e delle incomoditá corporali che crescono di giorno in giorno, viene generando anche nei piú frivoli o piú di natura allegra, ed anco similmente nei piú felici, un abito di volto ed un portamento, che si chiama grave e che, per rispetto a quello dei giovani e dei fanciulli, veramente è tristo.

LXXXI.

Accade nella conversazione come cogli scrittori: molti de’ quali in principio, trovati nuovi di concetti, e di un color proprio, piacciono grandemente; poi, continuando a leggere, vengono a noia, perché una parte dei loro scritti è imitazione dell’altra. Cosí nel conversare, le persone nuove spesse volte sono pregiate e gradite pei loro modi e pei loro discorsi; e le medesime vengono a noia coll’uso e scadono nella stima: