Pensieri, Moralisti greci/Appendice/IV. Prime prove delle 'Operette morali'/1. Filosofo greco, Murco senatore romano, Popolo romano, Congiurati

1. Filosofo greco, Murco senatore romano, Popolo romano, Congiurati

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1. Filosofo greco, Murco senatore romano, Popolo romano, Congiurati
Appendice - IV. Prime prove delle 'Operette morali' Appendice - 2. Dialogo fra due bestie
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i.

DIALOGO

FILOSOFO GRECO, MURCO SENATORE ROMANO,

POPOLO ROMANO, CONGIURATI

(1822)

(Murco significa poltrone, e dall’altro canto Appiano nomina un certo Murco fra quelli che si unirono ai congiurati, fingendo di avere avuto parte nella congiura. Murco era soprannome degli Stazi, famiglia consolare. V. Velleio II, 69, sect. 2, 72, sect. 4, 77, sect. 3, colle note Variorum ai detti luoghi e YHist. des deux triamv., t. 2, p. 170.)

Filosofo. Dove andate cosi di fuga?

Murco. ... non sapete niente?

Filosofo. Di che?

Murco. Di Cesare.

Filosofo. Oh Dio, gli è successo qualcosa? Dite su presto. Ha bisogno di soccorso?

Murco. Non serve. È stato ammazzato.

Filosofo. Oh bene. E dove e come?

Murco. In Senato, da una folla di gente. Mi ci trovava ancor io per mia disgrazia, e son fuggito.

Filosofo. Oh bravi: questo mi rallegra.

Murco. Ma che diavolo? sei briaco? Che mutazione è questa?

Filosofo. Nessuna. Io credeva che gli fosse accaduta qualche disgrazia. [p. 338 modifica] Murco. Certo che schizzar fuori l’anima a forza di pugnalate non è mica una disgrazia.

Filosofo. Non è disgrazia che pianga nessuno. La gente piange quando il tiranno sta male, e ride quando è morto.

Murco. Quando anche non fosse morto, non occorreva che tu fingessi in presenza mia che ti sono amico da gran tempo.

Filosofo. Mentre il tiranno è vivo, non bisogna fidarsi di nessuno. E poi ti corre voce d’essere stato amico di Cesare.

Murco. Come sono tutti gli amici dei tiranni. Il fatto sta che di Cesare in quanto Cesare non me ne importa un fico; e per conto mio lo potevano mettere in croce o squartare in cambio di pugnalarlo, ch’io me ne dava lo stesso pensiero. Ma mi rincresce assai che ho perduta ogni speranza di fortuna, perch’io non ho coraggio, e questi tali fanno fortuna nella monarchia, ma nella libertá non contano un’acca. E il peggio è che mi resta una paura maledetta. Se li porti il diavolo in anima e in corpo questi birbanti dei congiurati. Godevamo una pace di paradiso, e per cagion loro eccoci da capo coi tumulti.

Filosofo. Ma queste son parole da vigliacco. La libertá, la patria, la virtú ecc. ecc.

Murco. Che m’importa di patria, di libertá ecc. Non sono piú quei tempi. Adesso ciascuno pensa ai fatti suoi.

Filosofo. Lo so meglio di te, ma certe cose non vanno dette in piazza.

Murco. E in piazza e in tribuna e dovunque. Questo non è il secolo della virtú ma della veritá... La virtú non solamente non si esercita piú col fatto (levati pochi sciocchi), ma neanche si dimostra colle parole, perché nessuno ci crederebbe. Oh il mondo è cambiato assai. L’incivilimento ha fatto gran benefizi.

Filosofo. Sta a vedere che costui mi vuol fare il maestro di filosofia. Murco mio caro, questi insegnamenti noi gli abbiamo su per le dita. La filosofia non è altro che la scienza della viltá d’animo e di corpo, del badare a sé stesso, procacciare i propri comodi in qualunque maniera, non curarsi degli altri, e burlarsi della virtú e di altre tali larve e immaginazioni degli uomini. La natura è gagliarda, magnanima, focosa, inquieta come un ragazzaccio; ma la ragione è pigra come una tartaruga, e codarda come una lepre. Se tutto il mondo fosse filosofo, né libertá né grandezza d’animo né amor di patria né di gloria, né forza di passioni né altre tali scempiezze non si troverebbero in nessun luogo. Oh filo[p. 339 modifica]sofia, filosofia! Verrá tempo che tutti i mortali usciti di tutti gl’inganni che li tengono svegli e forti, cadranno svenuti e dormiranno perpetuamente fra le tue braccia. Allora la vita umana sará dilettevole come una sonata del monocordo. Che bella cosa la nuda veritá ! che bella cosa il dormire, e non far niente, e non curarsi di niente.

Murco. Adagio adagio, che siete in piazza e non mica in iscuola: e questo non è tempo da declamare. Pensiamo ai casi nostri. Popolo. Viva la libertá. Muoiano i tiranni. Murco e Filosofo. Viva la libertá. Muoiano i tiranni.

Murco. Bisogna studiar la maniera di regolarsi. (Seguano altri discorsi.) Popolo. Muoiano i traditori. Viva la dittatura. Murco e Filosofo. Muoiano i traditori. Viva la dittatura.

Murco. Qui non istiamo bene. Casa mia sta lontana. Ritiriamoci in Campidoglio. (Entrati in Campidoglio, altri discorsi.)

Murco. Che tumulto è questo? Parte del popolo. Viva la libertá. Altra parte. Viva la dittatura. Murco e Filosofo. Viva la libertá. Viva la dittatura.

Filosofo. Viene avanti uno che porta un cappello in cima a una picca, e dietro una processione di togati. Vengono a dirittura qua.

Murco. Oh me tristo. I congiurati. Ci siamo. Non c’è tempo da fuggire.

Filosofo. Tengono ciascuno un pugnale in alto.

Murco. Portate nessun’arma indosso?

Filosofo. Porto uno stile da scrivere.

Murco. Date date, anche questo fará. Mi caccerò tra la folla, e mi crederanno uno de’ congiurati.

Filosofo. A meraviglia: l’amico di Cesare.

Murco. Strigne piú la camicia che la sottana. Tu che sei forestiero, e non hai carica né dignitá, non corri nessun rischio. Bruto. Il tiranno è morto. Viva il popolo romano. Viva la libertá. Murco e Congiurati. Viva il popolo romano. Viva la libertá. Bruto. Sbarrate le porte.

Murco. Sí per Dio, sbarratele bene. [p. 340 modifica]Popolo. Viva la dittatura. Muoiano i congiurati.

Murco. Muoiano i congiurati. Bruto. Come? dov’è? chi di voi grida ’ muoiano i congiurati?’ Sei tu quello?

Murco. Perdonate: è stato uno sbaglio: mi diverto a far da scrivano, e per questo sono avvezzo a ripetere quello che sento dire. Bruto. Ma come stai qui fra noi ?

Murco. Forse che non sono de’ vostri ? Bruto. Non so niente. Chi si è curato d’un vigliacco tuo pari?

Murco. Anzi io son quello che gli ho dato la prima pugnalata. Casca. Bugiardo: la prima gliel’ho data io.

Murco. E vero: ho fallato: voleva dir la seconda. Congiurato. La seconda gliel’ho data io.

Murco. Dunque la terza. Altro Congiurato. Signor no: sono io che gli ho dato la terza.

Murco. Insomma io gli ho dato una pugnalata, ma non mi ricordo quale. Congiurato. E il coltello è rimasto nella piaga?

Murco. No, ma l’ho ferito con quest’arma che porto in mano. Congiurato. Questa? è imbrattata di cera, ma non di sangue.

Murco. Non gli avrò passata la veste.

Bruto. Abbiate l’occhio a costui. Disponiamo i gladiatori. [p. 341 modifica]

2 .

DIALOGO FRA DUE BESTIE

P. E. UN CAVALLO E UN TORO

(1822-24)

Toro. Che ossa son queste?

Cavallo. Io ho sentito dire spesso ai nostri vecchi ch’elle son ossa d’uomini.

Toro. Che vale a dir uomini?

Cavallo. Era una razza di animali che ora è perduta giá da chi sa quanto tempo.

Toro. Come, è perduta una razza di animali?

Cavallo. Oh, tanti altri animali si trovavano antichissimamente che ora non si conoscono altro che per le ossa che se ne trovano ecc. Discorso in grande sopra questa razza umana che finalmente si finge estinta; sopra le sue miserie, i suoi avvenimenti, la sua storia, la sua natura ecc. Non viveva giá naturalmente, e come tutti gli altri, ma in mille modi loro propri. E perciò avevano questa particolaritá curiosa che non potevano mai esser contenti né felici, cosa meravigliosa per le bestie, che non hanno mai pensato ad essere scontenti della loro sorte.

Toro. Oh, io non ho mai veduto un bue che fosse scontento d’esser un bue. Cagioni dell’infelicitá umana, la vita non naturale, la scienza (e questa dará materia ne’ vari suoi rami a infinite considerazioni e ridicoli) le opinioni ecc. Credevano poi che il mondo fosse fatto per loro.

Toro. Oh questa si ch’è bellissima! come se non fosse fatto per li tori.

Cavallo. Tu burli.

Toro. Come burlo?

Cavallo. Eh via, non è fatto per li cavalli?