Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana - Vol. I/Ai lettori

Ai lettori

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Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana - Vol. I Capitolo I

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AI LETTORI





Oggi 15 novembre 1898, giorno in cui uscirà alla luce questo primo volume, compie il cinquantesimo anniversario della uccisione del conte Pellegrino Rossi.

Da quel giorno, fino ad oggi, si può dire che su Pellegrino Rossi, sui suoi studi, sulle sue opere, sulle vicende della sua vita politica, sul suo ministero, sulla sua morte sia sorta tutta una letteratura. Nondimeno la storia non ha potuto ancora affermare nulla di positivo sul sanguinoso dramma svoltosi il 15 novembre del 1848 a Roma, nell’atrio del palazzo della Cancelleria Apostolica.

Notizie incerte e contraddittorie, interessate o arrischiate congetture, dicerie susurrate e inconsistenti, affermazioni vaghe e indeterminate, anche anni dopo il lungo e laborioso processo durato oltre quattro e mezzo, anche dopo la duplice sentenza del supremo tribunale della Sacra Consulta, anche dopo il suicidio di Luigi Grandoni e dopo la decapitazione di Sante Costantini, avvolgono in un velo tenebroso ed impenetrabile la verità su quell’importantissimo storico avvenimento.

A diradare quelle tenebre, a sollevare quel velo, a porre in luce quella ignorata verità, io ho scritto questo libro, [p. 6 modifica]frutto di oltre sei anni di accurati e amorosi studi, di lunghe, faticose, pazientissime ricerche.

Tratterò, io quindi, da prima, della vita, del carattere, delle opere di Pellegrino Rossi, valendomi degli scritti, in gran parte, pregevolissimi dei molti che mi hanno preceduto e aggiungendo, intorno all’insigne uomo, moltissime notizie sparse, qua e là, negli scritti piú disparati; poi esaminerò, col corredo anche di moltissimi documenti nuovi, l’opera di ministro del conte Rossi, la miseranda fine di lui, i giudizi che di quel truce fatto furono portati dai principali storici e dai più autorevoli uomini politici contemporanei, e le conseguenze, in fine, che dall’eccidio dell’illustre carrarese derivarono.

Sulla scorta, da ultimo, di tutti gli atti del processo compilato contro gli autori dell’omicidio - processo raccolto in sedici tomi di mille pagine l’uno e che io ho letto pagina per pagina - e col sussidio delle risultanze di altri processi affini, io mi adoprerò a dimostrare, all’evidenza, ai miei lettori il perchè, il come, il dove, il quando fosse ordita la trama che tolse di vita Pellegrino Rossi, chi ne fosse l’ordinatore, quali gli esecutori, chi veramente fosse l’uccisore del ministro.

Nella narrazione dei fatti e nell’esame dei documenti mi sarà agevole chiarire i lettori delle cagioni per cui la verità - che era ugualmente nota e ai governanti pontifici e ai capi del partito rivoluzionario - fu e dagli uni e dagli altri, fin qui, tenuta nascosta.

Il processo per l’omicidio del conte Rossi è tutto un dramma, complesso, terribile, grandioso; un dramma in cui si avvicendano le bieche e le gagliarde figure, le viltà e gli ardimenti, la fermezza generosa di torturati innocenti e le basse delazioni di anime codarde, un dramma in cui lampeggia continua la scherma abilissima fra le insidie del [p. 7 modifica]rivelante impunitario e del giudice processante da un lato e le astuzie degli imputati dall’altro, in cui spesseggiano gli incidenti paurosi e commoventi e gli episodi comici, la veemenza delle passioni politiche e le tresche di femmine da conio: insomma un dramma alla Shakespeare, scritto dalla Storia.

Questo libro, dunque, ha in sè e potrà avere per i lettori - se io, nello svolgimento, per mia inettitudine, non l’ho sciupato - tutte le attrattive di un grande romanzo, senza cessare un solo momento dall’essere corroborato coi documenti della critica storica piú severa e piú rigorosa.

Ammiratore caldissimo del poderoso, versatilissimo e veramente italiano ingegno di Pellegrino Rossi, io non porterò, pur tuttavia, nell’opera mia nessun preconcetto, nessuna passione di parte, e, perciò, nessuna considerazione subiettiva, nessuna vuota declamazione, nessuna postuma recriminazione.

A cinquant’anni di distanza dai fatti lo storico non ha soltanto il diritto, ma ha lo stretto e assoluto dovere di essere puramente e semplicemente obiettivo: egli deve considerare i fatti nel tempo e nello spazio in cui avvennero e studiando, con la spassionatezza dello scienziato, le cagioni che li produssero, deve ricercare quelle cause nelle condizioni psicologiche in cui si trovavano gli uomini che a quei fatti diedero impulso e movimento, nelle condizioni atmosferiche del clima storico in cui quegli uomini vivevano, si agitavano e operavano.

Questo metodo, insegnato e seguito da grandi maestri, e che ad altri, forse, potrà non piacere, e che potrà, forse, essere anche un metodo sbagliato, è quello che io credo e riconosco vero ed è quello cui sempre mi sono inspirato e nei miei modesti scritti storici e nel mio insegnamento: questo metodo, dunque, ho adoperato nel presente volume,

[p. 8 modifica]esaminando, con uguale imparzialità, tanto le cause che muovevano nelle sue azioni, nel 1848-49, la parte costituzionale, quanto quelle che muovevano la parte reazionaria e la rivoluzionaria; e senza stabilire, a priori, che la prima avesse ragione e che le altre due avessero torto.

Quindi se, per combinazione, questo volume capitasse a mani di qualche sapiente e moderato dottrinario, di quelli che, invece di dedurre le dottrine storiche dall’esame dei fatti, come usò il Machiavelli, stroppiano i fatti per farli entrare per forza nel casellario delle loro preconcette e prestabilite dottrine, come fa, per esempio, il Guizot, dia retta a me quel signore: getti via questo libro: esso non fa per lui.

Colui poi che, serenamente e spassionatamente, ama di conoscere il vero, obiettivamente ricercato e considerato, mi segua. Chi sa!... Può darsi il caso che, giunto alla fine della lunga via, esso non abbia assolutamente a pentirsi di essersi meco accompagnato.

E Dio voglia che così sia!

Roma, 15 novembre 1898.

Raffaello Giovagnoli.