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V VII

[p. 50 modifica]Ma i lusinghieri beni, e tanti, e sì grandi, che dalla soppression degli eserciti ne debbono a te ridondare ed a noi, annoverar non degg’io, prima di avere, circa alla possibilità di ciò fare, dissipato ogni dubbio. Che alcuni ancora, e non pochi, io qui dintorno rimiro, col loro tacito dubitare inquieti, e tremanti per la sicurezza dell’imperio, ogniqualvolta distrutti saranno i soldati; e dalla novità delle cose, che tutte si debbono sconvolgere a tal mutazione, e dagli ostacoli, che soli vedono, e assai maggiori del vero, ritraggono costoro infinito timore e perplessità. Pensate, [p. 51 modifica]o Romani, e pesate, qual fine vi si propone da questi sconvolgimenti; la libertà: qual fine dall’addormentarci nel seno di passeggera fallace calma; la total distruzione. E sia vero, (che non è) che dispersi appena i soldati, da ogni parte i nemici di Roma ne invadano l’impero; e poniamo pur anco, che senza difesa trovandolo, fino alle mura di Roma pervengano: vi nuoceranno quelli maggiormente, o quanto vi nocquero i feroci eserciti vostri da Cesare, da Galba, da Ottone, da Vitellio contra voi stessi condotti? vi nuoceranno mai codesti nemici quanto vi nocquero, senza neppure il velo di guerra, sotto Tiberio, Cajo, Claudio, Nerone, e Domiziano, in Roma stessa le pretoriane loro insolenti coorti? Dai Galli assediatori del Campidoglio si riscattava Roma coll’oro; ma libera [p. 52 modifica]rimaneva, e vincitrice indi a non molto tornava. Da questi crudeli imperatori di romani eserciti, da questi vili pacifici signori di satelliti e schiavi, Roma saccheggiata, arsa, profanata, avvilita, e distrutta, neppure col sangue si riscattava; ed oppressa, e vinta, e doma, ed annichilata rimaneasi. Contro ai veri esterni nemici, nella libertà, nella virtù che n’è figlia, nella disperazione stessa e necessità, si ritrovano armi e coraggio: ma contro agli oppressori domestici, che prima di opprimerci, corrotti necessariamente ed avviliti ci hanno, niun’arme si trova da opporre, se non lagrime, pazienza, e viltà. E se Roma finir pur dovesse, qual fine sarebbe il più degno di lei? coll’armi in mano, superati, ma non vinti, generosamente i suoi cittadini fra le proprie mura in difesa [p. 53 modifica]di essa morendo; ovvero, come vil gregge, senza nè pure attentarsi di piangere, ad uno ad uno svenati da un novello Nerone, che di tal vista si piglierebbe infame diletto?

Ma, cessi il gran Giove conservatore di Roma, ch’ella a nessuna di tali vicende soggiaccia. I cittadini resi liberi, e fatti felici, soldati ai confini dell’impero diventino; condotti siano da elettivi consoli e proconsoli a tempo; si deponga ogni pensiero di ulteriore conquista; si conosca meglio, la vera grandezza di Roma consistere nell’esser libera e costumata, non nella immensità dell’impero, che i vizj allargando, le virtù rinserra e costringe; si ripetano, in somma, in tutto gli antichi principj, che potente l’han fatta e felice; e quelli, con la saggia e lieve mutazione, che i mutati tempi richiedono, [p. 54 modifica]la ritorneranno felice e potente. L’autorità di Trajano ad ottenere un sì magnanimo fine le vaglia. Felice Roma, che in lui il censore, il riordinatore, il custode ritrova! felice Trajano, che tanta autorità nelle sue mani vedendosi, così nobile umano inaudito e memorabile uso può farne! Riordinare i comizj, estirpare la venalità, dalla confusione in cui giacciono, rimettere in chiaro e in vigore le prerogative e i doveri di ciascuna dignità; sopra i nomi in somma, che quasi nude ossa della estinta repubblica rimangono, riannestarne una nuova, simile per quanto si può all’antica; raffrenare il lusso sterminato; rimettere in piena osservanza le leggi; e, per magnanimo esempio, sottoporvisi primo egli stesso: son queste le generose cure, a cui riserbata è l’altezza dell’animo [p. 55 modifica]di Trajano: son questi gli obblighi immensi, che a cotanto principe avrà Roma: è questa la via, per cui gli onori della divinità (ove, per l’abuso di essi, finor profanati non si fossero) meritamente poscia ne verrebbero a Trajano solo accordati. Ma, se laida adulazione, incredibile viltà, obblio totale di lor decoro, e di se stessi, fece dai maggiori nostri nomare e venerar come Dei, Cesare, Augusto, ed altri imperatori più crudeli e men grandi di questi; dopo una lunga vita, che i veri Dei non negheranno a Trajano, poichè a far rinascere Roma il sortivano, sacro sarà per se stesso, e memorando, e divino, ed eternamente venerato il nome di Trajano uomo, che ad uomini oppressi e non liberi, spontaneamente restituiva, più preziosa assai che la vita, la libertà. [p. 56 modifica]Gli ostacoli che a una così magnanima impresa incontrare ei potesse, (fra cui, superato il primo della milizia, gli altri tutti per se stessi si appianano) se ad esser vinti richiederanno violenza, Roma ne’ suoi diritti rientrata adoprerà contro que’ rei cittadini, che cittadini non sono, la forza; se abbisognerà senno, sagacità, previdenza, e vivi esempj di rara virtù, Roma con occhi pietosi rivolgerassi allora a Trajano. Qualunque sia la dignità, ch’egli a se medesimo riserbi, in quella le altre tutte staranno; e s’anco non ne volesse il suo grande animo alcuna serbare, Trajano privato, Trajano cittadino, sarebbe pur sempre Trajano tribuno, console, dittatore, e se maggior cosa può esservi in Roma. Tanto più bello, e più lieto allora, e più puro l’imperar suo, che tutto alla propria virtù, al libero e [p. 57 modifica]verace amore de’ suoi cittadini il dovrebbe; non all’altezza del grado, non alla insolente baldanza degli eserciti, non al terrore de’ suoi eguali.

E, per appresentarti finalmente, o virtuoso egregio uomo, il più alto e ad un tempo il più dolce termine della tua gloria, avverrà forse anco, che la invidia, peste non estirpabile mai, tenterà di lacerarti, e di nuocerti. Tu forse, ridivenuto privato, ti udrai con irriverenza licenziosamente biasimare; ma all’ombra delle leggi per te in forza e venerazione tornate, godrai tu tranquillo della inesplicabile gioja di essere uomo fra uomini; e, dai pochi, liberi, aperti, e non tremanti nemici, verrai a conoscere ed accertarti, che i molti ammiratori, veneratori, ed amici tuoi, mentiti oramai più non sono. Tutte in somma, ed in te, e per [p. 58 modifica]sempre in tutti, annullando tu stesso le funeste prerogative dell’assoluto potere, cui dà e mantiene la forza; tutte, ed in numero infinito, a riacquistar tu verrai quelle tante, e sì dolci, e sì grandi, cui sola può dare e mantener la uguaglianza. Privato nascesti, ma in disastrosi tempi, e non liberi. D’uomo, nel suo intero esercitarne l’ufficio, non ti fu dato finora: non quando eri privato, perchè cittadino mostrarsi niun uomo allora attentavasi; non quando eri assoluto principe, perchè uguali non avendo, cittadin non puoi essere: ma, il primo fra gli uomini e stati, e futuri, diventi tu, da quel giorno stesso, in cui dall’impero a vera cittadinanza ascendendo, teco i concittadini tuoi, da un reo e lungo servaggio, a libertà promuovi ed innalzi.