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pensieri |
(3448-3449-3450) |
litto, cioè di far che gli uomini temano di peccare. Meglio sarebbe una predica dell’inferno o del purgatorio; e meglio ancora una (3449) lettura del codice penale che si facesse dalla scena. Il loro scopo si è d’ispirare odio verso il delitto. Questo è ciò che le leggi non possono. Laddove l’ispirar timore è proprio uffizio di esse, ed esse sole il possono, o certo piú e meglio d’ogni altra cosa; eccetto forse l’esempio vivo de’ gastighi, cioè l’effettiva esecuzione delle leggi penali. Ora la punizione del delitto non ispira odio. Anzi lo scema, perché sottentra e con lui si mescola la compassione. Anzi lo distrugge, perché la vendetta spegne tutti gli odi. Anzi produce un effetto a lui contrario, perché la compassione è contraria all’odio, e spesso avviene che nel veder punito il delitto, questa superi ogni altro sentimento, e gli spenga e resti sola; e spesso la pena, benché giusta ed equa, par piú grave del delitto; e spessissimo è odiosa, parte per la pietà, parte perché alcuni per viltà d’animo e poca stima di se stessi, altri per cognizioni dell’uomo, si sentono, piú o meno prossimamente o lontanamente, capaci di peccare; e niuno ama di esser punito, anzi tutti abborrono il gastigo in se stessi. Il dramma (3450) di lieto fine coll’effetto di una sua parte distrugge quello dell’altra.1 Voglio dire la compassione (dell’odio verso la colpa, ch’è pur distrutto dalla catastrofe, ho già detto). Il giusto ec., divenuto felice, per infelice che sia stato, non è piú compatito. Ognuno quasi si contenterebbe di arrivare per la stessa strada alla stessa sorte. L’oppresso vendicato non è compatito. Ora egli è cosa stoltissima il travagliare in un dramma ec. ad eccitare un affetto che il dramma medesimo debba direttamente spegnere, e che, non a caso, ma per intenzione dell’autore e per natura dell’opera, finita la
- ↑ Veggasi la p. 3122.