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(3124-3125-3126) | pensieri | 197 |
l’Odissea somministrasse pure un esempio diverso) non fu stimato proprio soggetto di poema epico altro che imprese guerriere, né d’altro genere d’Eroe fu creduto che l’epopea dovesse rappresentare il modello, se non che del gran Capitano. Onde parve tanto piú necessaria la felicità nell’Eroe del poema e nell’impresa che ne fosse il soggetto, non giudicandosi degno d’epopea un Capitano vinto da’ nemici né una guerra perduta.
Sin qui andava bene: ma v’era il grandissimo inconveniente che l’interesse che i lettori possono prendere per li fortunati, ancorché virtuosi, è scarso, debole e breve, e non (3125) si può reggere pel corso d’un lungo poema, né tutto, per cosí dire, animarlo e vivificarlo, né anche sufficientemente animarne una sola parte. Mancando il contrasto fra la virtú e la fortuna, oltre che ne scapita la verità dell’imitazione, essendo pur troppo il vero che questo contrasto sussiste nel mondo ed è perpetuo, onde un virtuoso fortunato è soggetto quasi romanzesco, e toglie quasi fede al poema, e impedisce l’illusione,1 (massime a’ moderni tempi, perché a quelli d’Omero era altra cosa); ne seguiva anche il pessimo effetto della freddezza, perché il lettore non ha che interessarsi per la virtú, vedendola felice, ed ottener già quello che le conviene.
Quindi è che ne’ poemi epici posteriori ad Omero l’Eroe e l’impresa felice nulla avrebbero interessato i lettori, se desso eroe, dessa impresa, dessa felicità non fossero in qualche modo appartenuti ai lettori medesimi, come Achille ec. ai greci. In verità un (3126) poema epico di lieto fine richiede necessariamente la qualità di poema nazionale; e per ciò che spetta e mira a esso fine un poema epico non nazionale non può interessar niuno; nazionale non può mai produrre un interesse universale né perpetuo, ma