Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/197

190 pensieri (3110-3111-3112)

cade che poco e poco durevolmente c’interessi il fortunato, massime ne’ poemi epici e ne’ drammatici. Ed effettivamente oggidí i lettori della stessa Iliade, non essendo greci, o non s’interessano mai vivamente per li greci, i quali sanno già dovere uscir vittoriosi, o presto lasciano d’interessarsene.1 Ma non bisogna dall’effetto che l’Iliade fa in noi misurar quello ch’ei faceva nei greci, ai quali essa era destinata, né per conseguenza l’arte del poeta che la compose, né il pregio e valore del poema.  (3111) L’altro interesse, cioè quello della compassione, non poteva Omero introdurlo nel suo poema in modo ch’ei si riferisse ad Achille o ai greci; non poteva, dico, per le suddette ragioni. Solamente poteva fare che la compassione si riferisse pur talvolta ai greci o a qualcuno di loro, come a soggetti secondarii e accidentalmente (qual è, per esempio, Patroclo), non come a soggetto primario della compassione, al qual soggetto tendessero tutte le fila del poema. Questo soggetto ei lo prese nella parte contraria alla greca, in quella parte alla quale doveva appartener la sventura, se alla greca doveva appartener la felicità. Egli scelse o finse tra’ nemici un Eroe, per cosí dir, di sventura, il quale fosse opposto all’Eroe della fortuna, e l’interesse del quale dovesse perpetuamente bilanciare e contrastare e accompagnare l’interesse dell’altro nell’animo de’ lettori. Questo Eroe sfortunato ei lo fece inferiore di forze ad Achille, ed anche ad Aiace e a Diomede, perché la superiorità delle forze doveva  (3112) esser l’attributo e la lode principale della parte greca (lode ch’era ai tempi eroici la piú grande); ma oltre che di forze eziandio lo fe’ superiore a tutti gli altri greci e troiani, di coraggio e magnanimità lo fece pari allo stesso Achille, e nel rimanente ornandolo di qualità diverse da quelle di costui, lo venne però a far tale che tanto

  1. Veggasi la p. 3452, fine-58.