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(3457-3458-3459) pensieri 399

ira verso il vizio può rimanere in chi l’ha visto totalmente abbattuto, vinto, umiliato e punito? Quella punizione che l’uditore gli avrebbe dato nel cuor suo, l’ha preoccupata il poeta: questi ha fatto il tutto; l’uditore non ha a far piú nulla, e nulla fa. Quella passione ch’egli avrebbe concepita, l’ha sfogata il poeta da se: al poeta  (3458) dunque rimane. L’ira, l’odio che l’uditore avrebbe portato seco, il poeta l’ha soddisfatto. Odio ed ira e qualunque passione soddisfatta, non resta (non resta, dico, quanto all’atto, di cui solo è padrone il poeta, e non dell’abito). Dunque l’uditore parte dal dramma senza né odio né ira né altra passione alcuna contro i malvagi, il vizio, il delitto. Tutto questo discorso circa la parte che spetta nel dramma ai malvagi, si faccia altresí circa quella che spetta ai buoni. Chiuderò queste osservazioni con un esempio di fatto, narratomi da chi si trovò presente. Si rappresentò in Bologna pochi anni fa l’Agamennone dell’Alfieri. Destò vivissimo interesse negli uditori, e fra l’altro, tanto odio verso Egisto, che quando Clitennestra esce dalla stanza del marito col pugnale insanguinato, e trova Egisto, la platea gridava furiosamente all’attrice che l’ammazzasse. Ma come in quella tragedia Egisto riesce fortunato e gl’innocenti restano oppressi, quivi si vide quello che possano le vere tragedie negli animi degli uditori, quando elle sono di  (3459) tristo fine. Perché, promettendo gli attori che la sera vegnente avrebbero rappresentato l’Oreste pur d’Alfieri, ove avrebbero veduto la morte di Egisto, la gente uscí dal teatro fremendo, perché il delitto fosse rimaso ancora impunito, e dicendo che per qualunque prezzo erano risoluti l’indomani di trovarsi a veder la pena di questo scellerato. E l’altro dí prima di sera il teatro era già pieno in modo che piú non ve ne capeva. O moralmente o poeticamente che si consideri un tanto odio verso un ribaldo di tremila anni addietro, potuto ispirare e lasciare da quella tragedia,