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(3014-3015-3016) | pensieri | 135 |
dell’ultimo secolo, come il Varano. Neppur la lingua del Petrarca è quella di Dante, né da lui fu presa, né punto si serve de’ particolari dialetti.
Non potendo dunque i dialetti somministrare inflessioni rimote dall’uso corrente (3015) che siano adattate al linguaggio poetico, resterebbe per allontanar le voci comuni dalla prosa e dall’uso, che il poeta le ravvicinasse alla etimologia ed alla forma ch’elle hanno nella lingua madre, qualvolta nell’uso comune e prosaico elle ne sono lontane. Questo mezzo è possibile e buono e spesso adoperato da’ poeti quando la nazione è già cólta e dotta, e la letteratura nazionale già formata. Ma ne’ principii ciò è ben difficile e pericoloso, prima perché dalla nazione ignorante quelle voci in tal modo rimutate corrono rischio di non essere intese; poi perché presso la nazione non avvezza un tal rimutamento corre rischio di saper di pedanteria (il qual rischio dura eziandio proporzionatamente nel séguito) e di riuscire affettato. Onde la stessa difficoltà che in quei principii si opponeva, come ho detto (pag. 2836-7) al dedur piú che tante voci o frasi nuove dalla lingua madre, quella medesima si opponeva a dedur da essa lingua inusitate inflessioni e diverse dalle correnti. (3016)
Resta dunque per allontanar dall’uso volgare le voci e frasi comuni l’infletterle e condizionarle in maniere inusitate al presente, ma dagli antichi nazionali, parlatori, prosatori, o poeti usitate, e dalla nazione ancor conosciute e conservate di mano in mano negli scritti di quelli che, cercando l’eleganza, procurarono di scostarsi mediocremente dal volgo. Per le quali cose tali inflessioni non producono né oscurità né ricercatezza, benché riescano pellegrine e rimote dall’uso, e perciò producano eleganza. Questo mezzo è usitatissimo da’ poeti quando la nazione è cólta, formata la letteratura, e quando la lingua scritta ha un’antichità. Con esso principalmente si forma, si