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134 pensieri (3012-3013-3014)

munedel suo tempo, o d’una lingua, o vogliamo dir d’un uso piú  (3013) antico ancora di lui; dalla qual lingua comune, o fosse piú antica, o allora usitata, Omero tolse quelle inflessioni ch’egli si stima aver pigliato da questo e da quel dialetto indifferentemente e confusamente. Non volendo ammetter nulla di questo, dirò che in Omero la mescolanza de’ dialetti dové riuscir cosí male come in Dante. Circa i poeti greci posteriori, i quali tutti (fuor di quelli che scrissero in dialetti privati, come Saffo, Teocrito ec.) seguirono interamente Omero, come in ogni altra cosa, cosí nella lingua, e da lui tolsero quanto il loro linguaggio ha di poetico, cioè della sua lingua formarono quella che si chiama dialetto poetico greco, ossia linguaggio poetico comune, la questione non è difficile a sciogliere. Perocché quelle inflessioni ch’essi adoperavano, benché proprie di particolari dialetti, essi non le toglievano da’ dialetti, ma dal dialetto o linguaggio omerico, di modo ch’elle riuscivano eleganti e poetiche, non in quanto proprie di privati dialetti, ma in quanto antiche ed omeriche; ed erano bene intese  (3014) dall’universale della nazione, né parevano ricercate, perché tutta la nazione, benché non usasse familiarmente né in iscrittura prosaica le inflessioni e voci omeriche, le conosceva però e v’aveva l’orecchio assuefatto per lo gran divulgamento de’ versi d’Omero cantati da’ rapsodi per le piazze e le taverne, e saputi a memoria fino da’ fanciulli. Vedi p. 3041. Il che non accadde a’ poemi di Dante, il quale non fu mai in Italia neppur poeta di scuola, come Omero in Grecia presso i grammatisti medesimi, o certo presso i grammatici (vedi il Laerzio del Wetstenio, tom. II, p. 583, not. 5); né il dialetto o linguaggio poetico italiano è o fu mai quello di Dante. Dico generalmente parlando, e non d’alcuni pochi e particolari poeti, suoi decisi imitatori, come Fazio degli Uberti, l’autore del Quadriregio Federico Frezzi, ed alcuni