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(2775-2776) pensieri 425

εἴκω εἰκάθω, da ἴσχω ἰσχάνω e ἰσχανάω, da βλάστω βλαστάνω, ἁμαρτάνω, ἐρυγγάνω, οἰδάνω. . Cento forme e figure avevano i greci (o provenienti dalla varietà e proprietà de’ dialetti, o d’altronde) sí di alterare, come di accrescere gli elementi de’ loro temi. Non cosí i latini. Quindi i loro temi o sono monosillabi, o piú facili da ridursi alla radice monosillaba. Vedi p. 2811.


    2o, Molte radici (o primitive o secondarie) di vocaboli greci che non si trovano nel greco o non sono in uso, quantunque lo fossero già, si conservano nel latino, e sono usitate. Può servir d’esempio la voce do, radice del verbo δίδωμι, il quale non è né anomalo né difettivo come ho detto di sopra. Ma δίδωμι è veramente lo stesso do (non un suo derivato) alterato, cioè duplicato ed inflesso alla maniera greca. ῾Αρπάζω si è un vero derivato di ἄρπω, il quale però non si trova ne’ greci, o è rarissimo e solamente poetico. Ben si trova il suo participio femminile sostantivato ἆρπυιαι, che nella seconda iscrizione triopea è  (2776) adoperato in forma aggettiva. I latini hanno rapio, che per metatesi è appunto il tema ἆρπω. Nello Scapula trovo senza esempio ἁρπῶ ed ἁρπῶμαι. Questo sarebbe contrazione di ἁρπάω (v. Schrevel in ἁρπάω), del quale ἁθπάζω non sarebbe un derivato ma quasi un'inflessione, come da πειράω, πειράζω. Ma di ἁρπάω non può venire ἆρπυιαι, bensì ἁρπηκυῖαι o ἡρπηκυῖαι. Vedi p. 2786.

3o, Com’é detto qui sopra, p. 2774-5, la lingua latina è solita di conservar le parole molto piú semplici quanto agli elementi, che non fa la lingua greca. E ciò si deve intendere non solo de’ temi de’ verbi o delle radici di qualunque vocabolo, ma d’ogni altra qualsivoglia voce. Per ὀδοὺς ὀδόντος i latini hanno dens tis. ᾽Ολολύζω dev'essere un'alterazione di ὀλολύω come τροχάζω di τροχάω, πειράζω di πειράω, δοκάζω di δοκάω, σκεπάζω di σκεπάω, διστάζω di διστάω da δίς e στάω, Vedi p. 2825, 3169, ἀνύττω o ἀνύτω di ἀνύω ec. Infatti ὀλολύω è molto più imitativo e conveniente che ὀλολύζω dove il ζ, quanto