(2752-2753-2754) |
pensieri |
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la vita nella natura è maggiore, o, se non altro, è maggiore il sentimento della vita, a causa della diminuzione e torpore di esso sentimento cagionato dal freddo, e del contrasto tra il nuovo sentimento, o fra il ritorno di esso, e l’abitudine contratta nell’inverno. Questo accrescimento di vita (2753) (chiamiamolo cosí) è comune in quella stagione, come alle piante e agli animali, cosí agli uomini e massime agli individui giovani, sí delle predette specie, come dell’umana. Ora indubitatamente non è alcuno, se non altro de’ giovani, che in quella stagione non sia piú malcontento del suo stato e di se che negli altri tempi dell’anno (parlando astrattamente e generalmente senza relazione alle circostanze particolari, o vogliamo dire, in parità di circostanze). Tanto è vero che il sentimento dell’infelicità si accresce o si scema in proporzione diretta del sentimento della vita, e che l’aumento di questo è inseparabile dall’aumento di quello (4 giugno 1823). Vedi p. 2926, fine. Cosí una sventura particolare opera maggior effetto e piú dolorosa impressione in un temperamento forte e vivo, e lo abbatte di piú che non un temperamento debole, contro quello che parrebbe dovesse essere e che il volgo crede e dice. E la causa di ciò, non è, come si suol dire, la maggior resistenza che un temperamento (2754) forte oppone alla sventura e al dolore, ma il maggior grado di vita, e quindi la maggiore intensità di amor proprio e il maggior desiderio di felicità, che nasce dal maggior vigore; né qui ha che far la rassegnazione, e piuttosto essa non è altro che un sentir meno il dolore. Se il dolore faceva quasi una strage nell’uomo antico, siccome fa nel selvaggio; se gli antichi, come ora i selvaggi, erano portati dalla sventura fino alle smanie e al furore, a incrudelire contro il proprio corpo, al deliquio, al totale spossamento di forze, al deperimento della salute, all’infermità, alla morte o volontaria o naturale, ciò non proveniva, come si dice,