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(2316-2317-2318) pensieri 165

non vale che inutile. Cosí in nequitia ec. (31 dicembre 1821).


*    Alla p. 2250, margine. Nihil, vehemens ec. sono adoperati piú volte da’ poeti, quello come monosillabo questo come dissillabo ec. Vedi il Forcellini. Cosí nihilum, dove appunto devi vedere il Forcellini in fine della voce. E quel fare di nihil nil, di vehemens vemens (vedi il Forcellini vehemens, fine), di prehendo prendo ec., cose usitate nelle buone scritture latine, anche in prosa, che altro significa se  (2317) non che quelle vocali successive, benché secondo le regole della prosodia si considerassero per altrettante sillabe, nondimeno nella pronunzia quotidiana equivalevano o sempre o bene spesso a una sola? Altrimenti queste tali contrazioni sarebbero state sconvenientissime: e come poi sarebbero elle venute in uso generale, anche presso chi non ne aveva bisogno (quali erano i prosatori), come nil detto indifferentemente per nihil? Ed osservate che qui v’é anche di mezzo l’aspirazione, ch’é quasi una consonante, ed oggi la pronunziano per tale. E nondimeno le dette vocali si tenevano per componenti una sola sillaba, e cosí si pronunziavano (come appunto ne’ nostri antichi poeti, anche, se non erro, nel Petrarca, noia, gioia ec. monosillabi, Pistoia dissillabo ec. e cosí mostra che si pronunziassero). Mihi parimente si contraeva nelle scritture, e massime ne’ poeti, in mi. E non è apocope, come dice il Forcellini, ma contrazione, come nil ec. Che dirò di eburnus per eburneus e di tante altre simili contrazioni di piú vocali, mediante le quali contrazioni  (2318) autorizzate dall’uso il considerar quelle vocali come formanti una sola sillaba diveniva alla fine affatto regolare (in ogni genere di scrittori) e conforme alle stesse regole della prosodia? Non dimostra ciò quello ch’io dico? Queis monosillabo, o cosí scritto o contratto in quis, non è po-