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(1139-1140) | pensieri | 435 |
cora sí tenebrosa, e per l’altra parte altrettanto interessante (29 maggio-5 giugno 1821).
* Alla p. 1127. E lo pronunziavano cosí leggermente, che ora, sebbene ne resta un vestigio nella scrittura, convertito nel segno dell’aspirazione, è svanito però del tutto dalla pronunzia, anche come semplice aspirazione. Similmente i francesi, per quello che noi diciamo fuori o fuora e gli spagnuoli fuera dal latino foras o foris, dicono hors, aspirando però l’h. In luogo di voce i veneziani dicono ose dileguato il v. Il φ greco, non è, come si sa, che un π aspirato, come si vede anche nelle mutazioni grammaticali e sostituzioni dell’una di tali lettere all’altra. Mancava, come si dice, al primitivo alfabeto greco, detto cadmeo o fenicio, e vi fu aggiunto, come dicono, da Palamede (Plinio, VII, 56) insieme col χ e col θ che sono un κ ed un τ aspirati (Servius, ad Aen., II, vers. 81). Vedi Fabricius, Bibliotheca Graeca, I, 23, § 2, e il lessico dell’Hofmanno, voce Literae. È anche probabile che mancasse all’alfabeto ebraico e che il פ non fosse che un p, lettera che oggi manca a detto alfabeto. Vedi p. 1168. L’alfabeto chiamato devanagari, ossia quello della lingua sascrita, (dalla quale alcuni dotti inglesi fanno derivar la latina), sebbene composto di cinquanta lettere, manca della f, e invece la detta lingua adopera un b o un p aspirati (Annali di Scienze e lettere, Milano, 1811, n° 13, p. 43) ec. ec. (5 giugno 1821). Considera ancora il nome greco di Giapeto, da Iafet, ebreo o fenicio ec. (1140)
* Alla p. 1115. E perché meglio si veda la differenza reale tra i frequentativi e i continuativi, ogni volta che questi verbi erano usati dagli scrittori secondo il loro valor proprio, consideriamo quel passo di Virgilio (Aen., II, 458, seq.) dove dice Enea che salí alla sommità della reggia di Priamo assediata da’ greci:
Evado ad summi fastigia culminis: unde
Tela manu miseri iactabant irrita Teucri.