gine, o derivi dalla greca, o le sia, come credo, sorella. E di piú dice Prisciano (lib. I, p. 554, ap. Putsch) (cosí lo cita il Forcellini, init. litt. 4; nella mia ediz. del quattrocento sta p. 16, fine) che anticamente la lettera u multis Italiae populis in usu non erat. E che il v consonante fosse da principio appo i latini una semplice (1127) aspirazione, e questa leggera, si conosce, secondo me, dal vedere ch’esso sta nel principio di parecchie parole latine gemelle di altre greche, che in luogo d’essa lettera hanno lo spirito lene o tenue, come ὄϊς ovis, vinum οἶνος, video εἴδω, viscus o viscum ἰξὸς (talora anche in luogo di spirito denso come νἱὸς, onde gli eoli Ⅎυιὸς, i latini filius). Vedi Encyclopédie, Grammaire in H, pag. 214, col. II, sul principio, e in F. E ch’elle sieno parole gemelle, è consenso di tutti i grammatici. Laddove lo spirito denso dei greci solevano i latini cangiarlo in s (e cosí per un sigma lo scrivevano i greci anticamente), come in ὕπνος che presso i latini si disse prima sumnus (Gellio) e poi somnus ec. Vedi p. 2196. Anzi di questa cosa non resterà piú dubbio nessuno se si leggerà quello che dice il Forcellini (vedi digamma, e vedilo) e Prisciano (p. 9, fine-11, e vedilo). Da’ quali apparisce che il v consonante appresso gli antichi latini fu lo stessissimo che il digamma eolico (giacché dagli eoli prese assai, com’é noto, la lingua latina). Il qual digamma presso gli eoli era un’aspirazione o specie di aspirazione che si preponeva alle parole comincianti per vocale, invece dello spirito e (nota bene) si frapponeva alle vocali in mezzo alle parole per ischifare l’iato, come in amai, amplia Ⅎit termina Ⅎitque ha un’iscrizione presso il Grutero (vedi Encyclopédie, Grammaire, art. F; Cellario, Orthograph., Patav. Comin, 1739, p. 11-15). E vedi il luogo di Servio nel Forcellini circa il perfetto della quarta congiugazione. Dalle quali osservazioni essendo chiaro che l’antico v latino fu, come oggi fra’ tedeschi, lo stesso che una f, non resta dubbio che non fosse