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(991-992-993) pensieri 323

cellino altro di questi pochissimi, e piú antico di Macrobio, dice il Salmasio (Praef. de Hellenistica, p. 39) ec. Vedi il Fabricius, loc. cit., p. 99, nota(b), l. 3, c. 12, § 1.  (992)

Ma del resto i greci di qualunque parte, ancorché sudditi romani, ancorché cittadini romani, ancorché vissuti lungo tempo in Roma o in Italia, ancorché scrivendo precisamente in Italia o in Roma, e in mezzo ai latini, ancorché scrivendo ai romani tanto gelosi del predominio del loro linguaggio, come sí è veduto p. 982-983, ancorché nel tempo dell’assoluta padronanza ed intiera estensione del dominio della nazione latina, ancorché impiegati in cariche in onori ec. al servizio de’ romani e nella stessa Roma, ancorché finalmente nominati con nomi e prenomi latini, scrissero sempre in greco e non mai altrimenti che in greco. Cosí Polibio, familiare, compagno e commilitone del minore Scipione; cosí Dionigi d’Alicarnasso, vissuto ventidue anni in Roma; cosí Arriano prenominato Flavio (Fabricius, Bibliotheca Graeca, III, 269, nota (b)), fatto cittadino romano, senatore, console, caro all’imperatore Adriano e mandato prefetto di provincia armata in Cappadocia; cosí Dione Grisostomo, cognominato Cocceiano dall’imperatore Cocceio Nerva, vissuto gran tempo in Roma e familiare del detto imperatore e di Traiano; cosí l’altro Dione prenominato Cassio e cognominato parimente Cocceiano ec.; cosí Plutarco ec.; cosí Appiano ec.; cosí Flegone ec.; cosí Galeno, prenominato Claudio ec.; cosí Erode Attico, prenominato Tiberio Claudio, ec.; cosí Plotino ec. (vedi per ciascuno di questi il Fabricio); cosí quell’Archia poeta ec. (vedi Cicerone pro Archia).

Da tutto ciò si deduce in primo luogo quanto, e con quanta differenza dalle altre nazioni, i greci  (993) di qualunque paese fossero tenaci della lingua e letteratura loro e noncuranti della latina, anche durante e dopo il suo massimo splendore; conside-