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(982-983) | pensieri | 315 |
greci dovessero lottare colle circostanze per mantenersi in questa verginità anche prima di Costantino e dopo la conquista della Grecia fatta dai romani, si può raccogliere da queste parole del cav. Hager, nel luogo citato qui dietro (pag. 980), pag. 245. Basta consultare la celebre opera di S. Agostino, De Civitate Dei, onde vedere quanto i romani al medesimo tempo erano solleciti d’imporre non solo il loro giogo, ma anche la loro lingua a’ popoli da loro sottomessi: Opera data est, ut imperiosa civitas, non solum iugum, verum etiam linguam suam, domitis gentibus per pacem societatis imponeret lib. XIX, cap. 7). Ai greci medesimi, dice Valerio Massimo, non davano giammai risposta che in lingua latina: illud quoque magna perseverantia custodiebant, ne Graecis unquam nisi latinae responsa darent (lib. II, cap. 2, n. 2); e ciò quantunque la lingua greca fosse tanto famigliare a’ romani; nulla di meno per diffondere la lingua latina obbligavano perfino que’ greci, che non la sapevano, a spiegarsi per mezzo di un interprete in latino: Quin etiam... per interpretem loqui cogebant.... quo scilicet latinae vocis honos per omnes gentes venerabilior diffunderetur (ibid). (983) E tuttavia la Grecia resisté. Ma dopo Costantino, alla corte bizantina, segue lo stesso autore, loc. cit., come si osserva da S. Crisostomo (adv. oppugnatores vitae monasticae, lib. III, tom. 1, pag. 34, Paris 1718, edit. Montfaucon) era un mezzo di far fortuna il sapere il latino; e fino a’ tempi di Giustiniano le leggi degli imperatori greci si pubblicavano nella Grecia medesima in latino. E soggiunge subito in una nota: Le Pandette furono pubblicate a Costantinopoli in latino (25 aprile 1821).
* Nelle Mémoires de l’Académie des Inscriptions, tom. XXIV, si trova: Bonamy, Réflexions sur la langue latine vulgaire (25 aprile 1821). E son pur da vedere in questo proposito le Memorie di Trévoux, anno 1711, pag. 914.