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(793-794-795) pensieri 189

luogo citato da me, p. 741, ch’era un misto, non solo di ogni sorta di voci greche, ma anche prese da ogni sorta di barbari, mediante il commercio marittimo degli ateniesi e la cognizione ed uso di oggetti stranieri, che questo commercio proccurava loro, come dice pure Senofonte. Che se la necessità naturale, come ho  (794) detto, e comune a tutte le lingue, porta a ricevere per buone anche le voci straniere, entrate recentemente nell’uso quotidiano, o non ancora entratevi nemmeno (purché siano intelligibili), tanto piú quelle che colla molta dimora fra noi si sono familiarizzate e domesticate co’ nostri orecchi, ed hanno quasi perduto l’abito e il portamento e la sembianza e il costume straniero o certo l’opinione di straniere. Anzi queste pure vanno cercate sollecitamente, ed accolte, e preferite, per sostituirle, quanto sia possibile alle intieramente estranee. Giacché ripeto che con ogni cura bisogna arricchir la lingua del bisognevole e farlo con buon giudizio ed esplorate le circostanze e la necessità ec. ec., acciocché non sia fatto senza giudizio e senza previo esame, ma alla ventura e illegittimamente; perocché quella lingua che non si accresce, mentre i soggetti della lingua moltiplicano, cade inevitabilmente, e a corto andare, nella barbarie.

Per aver poco bisogno  (795) di voci straniere è necessario che una nazione, non solo abbia coltivatori di ogni sorta di cognizioni e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua, ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec., ma ancora ch’ella sia l’inventrice o di tutte o di quasi tutte le cognizioni e di tutti gli oggetti della vita che cadono nella lingua, e non solo pura inventrice, ma anche perfezionatrice, perché, dove le discipline e le cose s’inventano, si formano, si perfezionano, quivi se ne creano i vocaboli e questi con quelle discipline e con quegli oggetti passano agli stranieri. Cosí appunto è avvenuto alla Grecia, e però