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184 | pensieri | (784-785-786) |
sono forse di maggior utile i derivati o usi nuovi di parole o modi già correnti, fatti con un certo ardire. Ma ho portato questo esempio per dimostrare come si possano far nuovi derivati dalle nostre proprie radici, che, sebbene nuovi, abbiano lo stessissimo aspetto delle parole vecchie e usitate, sí per la chiarezza che per la naturalezza, per la forma suono ec. e quindi sieno tanto italiane quanto la stessa Italia. Del qual genere se ne danno, come ho detto, infiniti a ogni passo (15 marzo 1821). (785)
* Tutto quello che ho detto della derivazione di nuove parole o modi ec. dalle proprie radici, o dei nuovi usi delle parole o modi già correnti, lo voglio estendere anche alle nuove radici, non già straniere, non già prese dalle lingue madri, ma italiane, e non già d’invenzione dello scrittore, ma venute in uso nel linguaggio della nazione o anche nelle scritture anche piú rozze ed impure, purché quelle tali radici abbiano le condizioni dette di sopra in ordine ai nuovi derivati ec. E queste nuove radici possono esser nuove in due sensi: o nuove nella scrittura, ma antiche nell’uso quotidiano; o nuove ancora in questo. Vedi p. 800, fine. Qui non voglio entrare nelle antichissime quistioni, qual popolo d’Italia, qual classe ec. abbia diritto di somministrar nuovi incrementi alla lingua degli scrittori. Osserverò solamente: 1°, Quel luogo di Senofonte circa la lingua attica che ho citato p. 741 in margine, notando che la Grecia si trovava appunto nella circostanza dell’Italia per la varietà dei dialetti e che quello che prevalse (786) fu quello che tutti gli abbracciò (come dice quivi Senofonte), cioè l’attico, come quello che fra noi si chiama propriamente italiano. Giacché c’è gran differenza tra quell’attico usitato da’ buoni scrittori greci, divulgato per tutto, quello di cui parla Senofonte ec. ec. e l’attico proprio. Nello stesso modo fra il toscano proprio e il toscano sinonimo d’italiano. Vedi p. 961, capoverso 1. 2°, Che, senza entrare in discus-