striaco, che ebbe la bontà di dichiarare non necessaria la sua vidimazione dopo quella del suo collega di Roma. Un altro scudo almeno se ne andò in altri visti e mance, prima d’arrivare a Genova. Qui poi, la Polizia manda il povero viaggiatore dal Console pontificio, il quale lo fa ritornare, e quindi lo rimanda con un biglietto alla Polizia, ma intanto prende per sè quaranta baiocchi. La Polizia non può servirlo subito: lo fa tornare il giorno seguente, cioè il 26 agosto, e per soli dieci baiocchi gli concede il foglio di soggiorno. Il 31 agosto, volendo partire da Genova, va in Polizia a riprendere quel benedetto passaporto. Glielo danno, ma senza vidimazione, perchè prima deve andare a farselo vidimare dal rappresentante del Ministero degli affari esteri, che non firma per meno di settantasei baiocchi. Con questa firma più preziosa di tutte, il poveretto torna in Polizia, dove, non trovandosi comodi, lo fanno ritornare più tardi; ma gli mettono il visto per soli nove baiocchi, mentre invece il Console pontificio, oltre i quaranta già avuti, ne vuole altri quarantotto. E qui la storia è interrotta; ma da una nota di spese, che è nello stesso Giornale, vedo che tra Milano, Reggio, Bologna, Rimini e Pesaro il passaporto, co’ suoi annessi e connessi, gli costò altri novantadue baiocchi e mezzo. Ora dunque si tiri la somma; si tenga conto che il Belli in que’ giorni faceva a Milano un buon pranzo con venticinque o trenta baiocchi; si calcoli quel che più importa, cioè l’enorme perdita di tempo e la seccatura che costava tutto quell’andare da Erode a Pilato; e così si vedrà con quanta ragione in questo sonetto i passaporti vengano appaiati alle ghijjottine e alle galerre, e si avrà anche un discreto saggio dell’ignoranza e della perfidia de’ nostri cessati governi. Nello stesso Giornale il Belli racconta che il 25 ottobre 1829, a Bologna, mentre si trovava in Polizia per il solito visto, sentì che a una povera donna di Recanati, venuta là per trovar padrone, il Commissario intimava di ripartire dentro tre giorni, perchè il cardinal Bernetti, legato di quella città, aveva prescritto che non dovessero più riceversi serventi estranei in pregiudizio degl’indigeni. E dire che, di li a poco, questo valentuomo del Bernetti ebbe in mano le sorti di tutto lo Stato pontificio, e in un pubblico documento chiamò ladri tutti i liberali, compresi i fratelli Napoleone e Luigi Bonaparte! Cfr. la nota 4 del sonetto: Uno mejjo dell’antro, 27 genn. 32, e la nota 6 del sonetto: Er Governo ecc., 5 apr. 34]
4 [V. il sonetto: La mano reggia, 13 magg. 35.]
5 [V. la nota 6 del sonetto: La Ggiustizzia ecc., 7 febb. 32.]
6 Alla fine de’ conti.
7 Non foss’altro.