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giovanni pascoli 13

parole di lui; chè veramente i suoi versi, secondo egli disse,

cantano come non sanno
cantare che i sogni nel cuore,
che cantano forte e non fanno
rumore.

Cantano forte e non fanno rumore: proprio così.

Ora, se spazio e luogo consentissero, mi piacerebbe fare più curiosa ricerca: e sorprendere nelle Myricae, pur in quella elocuzione sostenuta e di un così grato sapor classico, almeno in principio,1 i primi versi, dove si sente, a un certo vibrare lungo e quasi cristallino, il poeta che se li è cantati e ha goduto in sentirli cantare; e seguitare poi via via, nella facilità calma e sonora dei Poemetti, nella mobilità vivissima fremente dei Canti, nella esasperazione degli Inni, nella monotonia delle Canzoni, gli atteggiamenti successivi e il pieno svolgimento della maniera.

Ma dovrò pur dire qualche cosa dello sciolto dei Poemi Conviviali. Certo non è lo sciolto del Parini nè del Foscolo: e neanche quello del Leopardi, sebbene può parere che se ne allontani meno; e ne rammenta un poco la purità così li-



  1. In principio il Pascoli, scolaro del Carducci e ignoto ancora a se stesso, scriveva versi come questi:

    Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
    or sì or no, che se il desio le vinca
    l’occhio alcuna ne attinge e il sol le bacia.

    Dove non sai se riesca più singolare, pensando al Pascoli che verrà dopo, la reminiscenza dantesca o la fattura e il tono: ma quante cose sarebbero state possibili all’ingegnosissimo scolaro di quegli anni!