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noi mai citando il Leopardi? Non abbiamo forse, più innanzi, il Tasso e il Galileo, i quali se valgono a dimostrare la perennità, la varietà, la fecondità dell’ingegno italiano, anche in secolo di massima decadenza, le loro vite bastano a dimostrare a viceversa quanto fosse indegna di essi, da essi discorde la nazione in quel secolo? Osservazione giustissima, convalidata dalle stesse parole del Balbo1.

Con ciò non intendemmo che ad alzare come il velo di certi fatti che di per sè varrebbero a suscitare una quistione altrettanto ardente quanto profonda; ma ci basta avere accennato una causa che riduce al suo vero valore i più appariscenti e cozzanti fenomeni dell’ordine morale — intellettivo con quello della materia.

Le eccezioni poi a queste disarmonie della materia con lo spirito costituiscono la vera sintesi della perfezione artistica umana, la quale nell’antichità pigliò nome da Omero, nel medio evo da Dante, nell’era moderna da Goethe.

Enrico Heine, Vittore Hugo, Schelley, Keats, Elisabetta Browning, Edgardo Poe, Balzac, Delacroix, Decamps e non pochi dei nostri connazionali poeti e pittori, passati e contemporanei, varrebbero a comprovare le antitesi, superiormente accennate, dei primi.

  1. Sommario della Storia d’Italia.