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parte di esso (Parada la Palat) troviamo i noti versi dell’Achille in Sciro:

Lungi, lungi, fuggite fuggite,
Cure ingrati, molesti pensieri;
No, non lice del giorno felice
Che un istante si venga a turbar.


che io cito naturalmente come trovo; e innanzi alla nona parte (Cuvântul M. Sa’e la deschiderea cinstitei obicinuite obșteștii adunări) questi altri di nuovo del Temistocle:

Di tua virtù la mia virtude accendi!
Più di quel ch’io ti dò, semp e mi rendi.
Quando un’emula l’invita,
La virtù si fa maggior;
Qual di face a face unita
Si raddoppia lo splendor.


Delle citazioni metastasiane del Negruzzi ho avuto altrove1 occasione di occuparmi. Non aggiungerò dunque che una breve rettificazione. Nell’Alauta romînească del 1837, dove per la prima volta apparve pubblicata la novella Zoè, i versi del Metastasio sono scritti benissimo, senza gli spropositi, dei quali li adorna l’edizione Socec, della quale ho avuto l’imprudenza di fidarmi. Del resto, ciò non toglie nulla alla verità di quanto a proposito del Negruzzi mi è accaduto di sospettare nella noterella in questione: che cioè d’italiano egli dovesse sapere ben poco. Ci risulta infatti che una sua vagheggiata traduzione della Gerusalemme non andò oltre le prime strofe e rimase allo stato di semplice progetto, non avendo il Negruzzi potuto vincere le difficoltà che lo stile poetico del Tasso gli offriva quasi ad ogni piè sospinto2. Ed invero altro è tradurre dal Metastasio, altro



  1. Un’imitazione rumena dal Gessner e dal Vigny, in Studi letterari e linguistici dedicali a Pio Rajna nel quarantesimo anno del suo insegnamento, Firenze, Ariani, 1911, p. 940, n. 2.
  2. „Più che guidato da maestri, Costantino Negruzzi imparò da solo il tedesco e l’italiano, quest’ultima lingua così bene da concepire a un dato momento il disegno di tradurre in versi la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.