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D’AMORE CAP. IV. 283

Io, ch’era più salvatico che i cervi,
     5Ratto domesticato fui con tutti
     I miei infelici e miseri conservi;
E le fatiche lor vidi e i lor frutti,
     Per che torti sentieri e con qual arte
     A l’amorosa greggia eran condutti.
10Mentre io volgeva gli occhi in ogni parte
     S’ i’ ne vedessi alcun di chiara fama
     O per antiche o per moderne carte,
Vidi colui che sola Euridice ama,
     Lei segue a l’inferno e, per lei morto,
     15Con la lingua già fredda anco la chiama.
Alceo conobbi, a dir d'Amor sì scorto,
     Pindaro, Anacreonte, che rimesse
     Ha le sue muse sol d’Amore in porto;
Virgilio vidi, e parmi ch’egli avesse
     20Compagni d’alto ingegno e da trastullo,
     Di quei che volentier già ’l mondo lesse:
L’uno era Ovidio e l’altro era Catullo,
     L’altro Properzio, che d’amor cantaro
     Fervidamente, e l’altro era Tibullo.
25Una giovene Greca a paro a paro
     Coi nobili poeti iva cantando,
     Et avea un suo stil soave e raro.
Così, or quinci or quindi rimirando,
     Vidi gente ir per una verde piaggia
     30Pur d’amor volgarmente ragionando.
Ecco Dante e Beatrice, ecco Selvaggia,
     Ecco Cin da Pistoia, Guitton d'Arezzo,
     Che di non esser primo par ch’ ira aggia;
Ecco i duo Guidi che già fur in prezzo,
     35Onesto Bolognese, e i Ciciliani,
     Che fur già primi e quivi eran da sezzo,
Sennuccio e Franceschin, che fur sì umani
     Come ogni uom vide; e poi v’era un drappello
     Di portamenti e di volgari strani:
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