Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/40


prefazione xxxiii

zo, gli altri come raggi a quello rivolti, dappoichè così solamente poteasi servare quella unità, la quale, indivisa, racchiude in sè ogni forza. Nè a ciò avvisarono quei Toscani che furon sì pronti a combattere le opinioni del Perticari; al quale anzi assicurarono la vittoria, abborrendo volontarii quel linguaggio che appresero col nascere, e che tuttora per le piazze e’ mercati sonava loro agli orecchi. Se dunque buona fu l’opinione del Perticari, non bene, a parer mio, si argomentò nel mandarla ad effetto, e peggio fu per quelli che la combatterono.

Ma, tornando a nostra materia, quello che più importa che sappiano i giovani si è che, oltre all’imprender bene la lingua, e’ si studino di formarsi bello e spedito lo stile; senza il quale non possono aver vita le scritture: sì come reggiamo in alcune opere degli antichi, le quali tuttora si leggono, e leggerannosi con ammirazione, solo perchè bellamente distese. In fatto che altro, se non questo, fa tanto pregiare i versi di Catullo e di Orazio medesimo? a’ quali se tu togli la vaghezza del dire, non nuovi ma comuni parrebbero i loro pensamenti: e tali pure diverrebbono voltati in nostra lingua per chi non sapesse rilevarli con modi peregrini, e ponendo mente alla giacitura delle parole. La qual cosa bene intendeva Ugo Foscolo, col quale n’ebbi spesso a ragionare. E sovvienmi ch’egli mi citava alcuni versi di Virgilio, nel tradurre i quali voleva che una tal voce si collocasse nel luogo medesimo che trovasi nel latino: come, per esempio, in quel verso:

Et fortanatam si nunquam armenta fuissent
Pasiphaen......

ove diceva che dal traduttore doveasi Pasifae lasciar giacere posposto come nell’originale, onde spesso interveniva che ci esercitassimo insieme in sì fatte prove. E, poichè mi è occorso di nominare Virgilio, ditemi di grazia onde tanta fama hassi meritamente acquistata questo insigne scrittore, se non dalla bellezza, purità ed eleganza del suo stile? de’ quali pregi se spoglio fosse il suo poema dell’Eneide, non sarebbe chi volesse studiosamente leggerlo, nè farsene le maraviglie, perocchè, in quanto all’invenzione e tessitura della favola, molti difetti apparirebbero che sono da quel suo maraviglioso dettato coverti, il quale egli non da Omero, come alcuni inconsideratamente credono, ma dalla scuola alessandrina apparò: come che dicasi aver egli voluto nella favola imitare quel sommo Greco, riunendo nel solo suo poema le azioni dell’Odissea e dell’Iliade: donde non temono di conchiudere aver la copia vinto l’originale. Il che quanto sia lungi dal