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libro secondo - capitolo ottavo 123


in luce molti classici dimenticati e rimettere i buoni studi; ma il loro esempio, come autori, prova che il conversare assiduo coi trecentisti può essere pericoloso al retto senso, se non si tempera colle cognizioni e la critica dell’etá piú moderna1.

La potenza degli scrittori nasce principalmente dalla loro autonomia si propria che nazionale, senza le quali l’eleganza e la dottrina stessa riescono presso che infruttuose, non potendo somministrare né novitá di concetti né eloquenza, massimamente civile. Quindi è che, secondo il Giordani, benché abbiamo in copia «copiosi, puliti, ornati dicitori, ci manca l’eloquenza»2;e il Leopardi fa la stessa querela3. L’eloquenza grande e forte non ha pur d’uopo d’idee pellegrine ma anco di successi notabili, e suole per ordinario non giá precedere i fatti ma venire appresso e infiammarsene; cosicché per questo rispetto l’azione non germina dal pensiero ma lo produce. Cicerone e Demostene fiorirono in sul finire delle loro repubbliche, e furono quasi l’eco di molti secoli feraci in eroi. Or che uomini straordinari può vantare la moderna Italia? che fatti illustri? che imprese magnanime? Tutto ci è volgare, meschino, mediocre, nullo. Lo studio del vero e del bello, del buono e del santo, della patria e della gloria fu in ogni tempo il focile che trae dall’ingegno il fuoco dell’eloquenza; e a questa divina fiamma le lettere greche, latine, cristiane furono debitrici dei loro miracoli. Ora questi sei amori sono spenti da gran tempo in Italia. L’utile si antepone al vero e all’onesto, il giocondo al bello, la superstizione alla religione, la vanitá alla gloria, la setta alla patria,



  1. Veggansi per esempio gli scrupoli del Manni intorno a un passo delle Vite dei santi padri (Bologna, i823, t. ii, pp. 22-24). Il buon Cesari è pieno di semplicitá. Loda gli strazi della Saodata, ammira i prodigi dei Fioretti, si scandalizza delle scappate ghibelline di Dante e chiede sollecitamente che il papa faccia un miracolo per risanarlo. Pio settimo non ne volle sapere e rispose che «il cielo era alto» (Cesari, Lettere, Firenze, i846, t. ii, pp. 362-367).
  2. Opere, t. ii, p. 97.
  3. Opere , t. i, p. 309. Amendue questi scrittori tengono l’Apologia di Lorenzino come la sola «scrittura eloquente» che abbia l’Italia (Giordani, Opere, t. i, p. 445; t. ii, p. 98; Leopardi, Opere, t. i, p. 309; Epistolario, t. i, p. i50). Il Leopardi aggiunge che chi voglia altri esempi dello stesso genere, uopo è che ricorra alle canzoni politiche del Petrarca (ibid., p. i26).