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ugo foscolo 89

In questi versi malinconici c’è qualche cosa che «strepita» come l’onda, una forza rósa da ozio, o, com’egli dice, uno spirito guerriero che gli rugge ai di dentro, e non trova sfogo. Questa forza, ora sdegnosa, ora trista, gl’ispira il sonetto all’Italia e il sonetto a Zacinto. Ecco versi nei quali suona giá, come presentimento, Giacomo Leopardi:

                                    Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra: a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
               
Questo «illacrimata» è pieno di lacrime. Morire, e nessuno ti piange. Ci è qui dentro il germe de’ Sepolcri. È una frase di suicida. La morte del padre e del fratello, la lontana madre la terra natia, la patria divisa e imbarbarita, la fuga del tempo e il «nulla eterno» e certa bella ombra che gli passa dinanzi fuggitiva, sono i frammenti lirici di questa storia interiore di uno spirito distratto, scontento, dissipato, centrifugo. È la storia di un giovine, che aveva appena passati i venti anni.

Da questa storia usciva Jacopo Ortis. Sotto a quel nome Foscolo scriveva sé stesso, a frammenti, secondo le impressioni e gli accidenti: poi a mente tranquilla fissò un disegno, stabili le proporzioni e venne fuori un romanzo, dove si sentono come diversi strati di formazione, mal dissimulati dal lavoro posteriore.

Ci era giá il Werther. Foscolo non l’avea letto. L’ebbe piú tardi, e mutò, rimutò, sotto a quella impressione. Il romanzo parve una imitazione, anzi un furto. Ma tutti lo leggevano. E il successo fu grande, massime tra’ giovani e le donne.

Ho innanzi il Werther. E non vedo come siasi tanto disputato su questi due romanzi. Jacopo e Werther sono due individualitá nella loro somiglianza superficiale profondamente diverse, anzi antipatiche l’una all’altra. Jacopo non avrebbe mai amato Carlotta, e Werther non avrebbe saputo che farsene di quella Teresa. Goethe ti dá un lavoro finamente psicologico: Kant avea lasciata la sua orma in quel cervello. Il suicidio vi