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l’ultimo de’ puristi 233

il «sommo» Bartoli. Chiamava Machiavelli maestro di eloquenza e di sapienza, ma alquanto negletto e disuguale nello scrivere, e preferiva di lui dov’ è il lavoro piú artificioso e alla boccaccevole, come il racconto della peste e certe orazioni messe in bocca a’ suoi personaggi storici. Il Galateo di monsignor della Casa, la Circe del Gelli, il Cortigiano del Castiglione, Dafni e Cloe del Caro, la Congiura de’ baroni del Porzio, l’Arcadia del Sannazzaro erano capilavori: libri nella scuola studiatissimi e di cui si leggevano e comentavano i piú eletti brani. Sarei infinito se volessi dirne oltre, e chi ha curiositá di saperne piú, legga le sue opere. Ma se commendava tanto gli eleganti, non però disprezzava i semplici, come il Pandolfini ed il Cellini, anzi li raccomandava molto a’ giovani ancora « sori » dell’arte. De’ moderni aveva in pregio Gaspare Gozzi e teneva principe degli scrittori Pietro Giordani. Degli altri parlava sempre con un ma. Ottimo il Manzoni per lo stile, ma non puro di lingua. Eccellente la lingua del Leopardi, ma detestabili le sue dottrine. Lodava il Parini per il verso sciolto, di cui diceva maestro Annibal Caro nella sua Eneide. Magnificava Vincenzo Monti. Del Foscolo non accettava che i Sepolcri. Compativa agli scrittori fiacchi, come al Rosini nella Monaca di Monza, ma odiava con tutta l’anima i tumidi e arguti, come il Guerrazzi. Del resto i suoi giudizi erano vaghi e mutabili, non avendo de’ moderni quella profonda notizia che de’ trecentisti e cinquecentisti. Il mondo finiva per lui con l’amato Cinquecento e con qualcuno del Seicento. Il medesimo era per la scuola, vietato di studiare in troppo recenti scrittori e non ancora battezzati classici. Né il marchese aveva maggior notizia delle letterature forestiere, delie quali teneva chiusa la porta a doppia chiave per sé e per la scuola, a fine di non guastarsi lo stile. Della inglese, della spagnuola, della tedesca era quasi affatto digiuno; della francese aveva qualche pratica, soprattutto del secolo d’oro: metteva a tutti innanzi il Bossuet.

Tale era il marchese, ritratto cosí alla buona e alla naturale, come m’ è venuto in memoria. Aveva mente chiara e giusta, ma anche a lui «mancava l’utero». Aveva però qualche cosa