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[1692-1694] | Speranza, disperazione | 567 |
sec. xvi, di cui la edizione principe è di Mantova del 1545; — ovvero del terribile:
1692. Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate!
che è l’ultimo verso della iscrizione sulla porta dell’Inferno. Ma se il cullarsi troppo ciecamente nelle illusioni è male, non è bene nemmeno il disperare di tutto; le nostre buone donne dicono che finchè c'è vita, c’è speranza, ovvero che ’’soltanto alla morte non c’è rimedio’’; e veramente questo della morte è proprio il momento in cui la speranza è di troppo:
1693. ....Anche la speme,
Ultima dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblìo nella sua notte.
La speranza ultima dea fu dagli antichi divinizzata come tale. Lo stesso Foscolo nel Commento alla Chioma di Berenice, verso la fine del Discorso III (Prose, a cura di V. Cian, voi. II, Bari, 1913, pag. 260) riporta questa passionata sentenza di Teognide: «Tutti i numi, salendo all’Olimpo, gl’infelici mortali abbandonano; la Speranza sola rimane buona dea»; e la sentenza di Teognide è nella ediz. dei Poetae elegiaci et iambographi del Bergk ai v. 1135-1136. Ovidio nelle Epist. ex Ponto (lib. I, ep. 6, v. 29-30) ricantò il mito:
Haec dea, quum fugerent sceleratas numina terras, |
1694. Nec spe nec metu.1
che fu l’impresa d’Isabella d'Este Gonzaga, da lei stessa inventata prima del 1504, che di tale anno è una lettera di lei a
- ↑ 1694. Nè con speranza nè con paura.