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376 | Chi l’ha detto? | [1144-1150] |
1144. Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
Nave sanza nocchiere in gran tempesta,
Non donna di provincie, ma bordello!
e non meno acerbo rimbrotto risuonava sulla bocca di Mons. Giovanni Guidiccioni che le si rivolgeva chiamandola:
1145. Italia mia, non men serva che stolta.
nell’ultimo dei sette sonetti sulle sventure d’Italia da lui indirizzati al suo concittadino Vincenzo Buonvisi: questo, che è forse il più bello, comincia:
Dal pigro e grave sonno, ove sepolta.
Un celebre sonetto di Vincenzo da Filicaia all’Italia principia, come tutti sanno:
1146. Italia, Italia! o tu cui feo la sorte
Dono infelice di bellezza....
e contiene pure l’altro verso, il quinto, ugualmente noto:
1147. Deh fossi tu men bella o almen più forte.
e l’ultimo:
1148. Per servir sempre, o vincitrice, o vinta.
1149. Italia, Italia, il tuo soccorso è nato.
è la chiusa di un sonetto non meno celebre di Eustachio Manfredi per la nascita (1699) del Principe di Piemonte, cioè Vittorio Amedeo Filippo figlio del duca Vittorio Amedeo II.
Scendendo agli scrittori delle età più tarde troviamo il fiero Astigiano, primo nei nuovi tempi a sentire ed esprimere veracemente e fortemente l’amor patrio, che nel sonetto XXVII del Misogallo così sdegnosamente apostrofa l’Italia:
1150. Ahi fiacca Italia, d’indolenza ostello,
Cui niegan corpo i membri troppi e sparti,
Sorda e muta ti stai ritrosa al bello?