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la vita di catullo. |
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di rivedere i suoi, gli fecero dopo men d’un anno sospirare il ritorno. Canta il sorriso della bella stagione,1 lascia la Bitinia, visita il sepolcro del fratello sul favoloso promontorio Reteo, dove scrive un affettuosissimo carme;2 e al rivedere la sua carissima Sirmione, e le rive dilette del Benaco egli prorompe in un grido di gioia e d’affetto;3 dedica a Castore il suo fasèlo4 e ritorna a Roma.
Bastò rivedere quei luoghi popolati di tante memorie, perchè gli prendesse di nuovo la vertigine. In mezzo a tanta folla, a tanto frastuono egli era solo; avea d’intorno il deserto. L’anima sua avea bisogno di dimenticare e di amare. Ed amò a modo suo, a mo’ dei Greci, a guisa di tutti coloro che vogliono seppellire una memoria nelle turpi ebbrezze di un’orgia, di coloro che hanno amato troppo, e non hanno per lunghi disinganni perduto ancora l’istinto d’amore.
Ma era scritto ch’egli non dovesse avere mai pace. Il dolce, il fiorente Giovenzio è per lui nuova fonte d’amarezze, di gelosie, di furori; scrive sanguinosi epigrammi contro Furio,5 contro Tallo,6 contro Aurelio;7 si scaglia addosso a Cesare e poi si riconcilia; flagella Mamurra;8 svergogna Pompeo,9 finché rovinato nell’anima, nelle
- ↑ Carm. XLVI.
- ↑ Carm. CI.
- ↑ Carm. XXXI.
- ↑ Carm. IV.
- ↑ Carm. XXIII e XXIV.
- ↑ Carm. XXV.
- ↑ Carm. XXI.
- ↑ Carm. LVII.
- ↑ Carm. CXIII.
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