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la vita di catullo.

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di rivedere i suoi, gli fecero dopo men d’un anno sospirare il ritorno. Canta il sorriso della bella stagione,[1] lascia la Bitinia, visita il sepolcro del fratello sul favoloso promontorio Reteo, dove scrive un affettuosissimo carme;[2] e al rivedere la sua carissima Sirmione, e le rive dilette del Benaco egli prorompe in un grido di gioia e d’affetto;[3] dedica a Castore il suo fasèlo[4] e ritorna a Roma.

Bastò rivedere quei luoghi popolati di tante memorie, perchè gli prendesse di nuovo la vertigine. In mezzo a tanta folla, a tanto frastuono egli era solo; avea d’intorno il deserto. L’anima sua avea bisogno di dimenticare e di amare. Ed amò a modo suo, a mo’ dei Greci, a guisa di tutti coloro che vogliono seppellire una memoria nelle turpi ebbrezze di un’orgia, di coloro che hanno amato troppo, e non hanno per lunghi disinganni perduto ancora l’istinto d’amore.

Ma era scritto ch’egli non dovesse avere mai pace. Il dolce, il fiorente Giovenzio è per lui nuova fonte d’amarezze, di gelosie, di furori; scrive sanguinosi epigrammi contro Furio,[5] contro Tallo,[6] contro Aurelio;[7] si scaglia addosso a Cesare e poi si riconcilia; flagella Mamurra;[8] svergogna Pompeo,[9] finché rovinato nell’anima, nelle

  1. Carm. XLVI.
  2. Carm. CI.
  3. Carm. XXXI.
  4. Carm. IV.
  5. Carm. XXIII e XXIV.
  6. Carm. XXV.
  7. Carm. XXI.
  8. Carm. LVII.
  9. Carm. CXIII.
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