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Ho quasi sempre corretto invece certe sostituzioni della vocale «e» in «i» («chi» per «che», «si» per «se» in vari punti; «Minelao» per «Menelao» — p. 231, son. 24 —; «bivendo» per «bevendo» — p. 240, son. 11 —; «pinsier» per «pensier» — p. 248, v. 1 —), perché le ho considerate residui di pronunzia calabrese scorsi nella penna. Ho conservato invece certi dialettalismi piú caratteristici e coloriti, come «Giesu» (p. 27, n. 18, v. 3; p. 190, v. 25); «onghie» (p. 183, v. 162), e cosí eccezionalmente ho lasciato la «i» calabrese, dove mi è parso che il poeta ce lo avesse messo di proposito, perché al suo orecchio suonava meglio nel verso.
Ed ho riprodotto infine anche e piú metodicamente un maggior numero di maiuscole che non ce ne avesse lasciate la prima edizione. Non ho creduto di trascurare questo particolare ed ho cercato anche per esso una soluzione in armonia con le direttive propostemi. I testi antichi, si sa, abbondano di maiuscole; la nostra ortografia tende a ridurle al minimo. Riprodurre tutte o quasi tutte le maiuscole del prototipo non sarebbe stato opportuno, né conforme ai criteri di massima di questa collezione; ma ridare, anche da questo lato, un po’ del sapore di quello non mi è parso male. E l’ho fatto costantemente per quel gruppo di parole, alle quali le tendenze mistico-profetiche del poeta non potevano non attribuire un senso speciale, e sulle quali voleva che si fermasse l’attenzione e la meditazione del lettore (Regno, Paradiso, Senno, Sapere, Ragione, Ente, Sommo Bene, Amore, Luce, Potere, Necessitá, Armonia, Natura, PFato). Invece ho mantenuta la «s» minuscola per la parola «stato», come l’autore ha voluto costantemente, e forse non a caso, se si pone mente al suo anti-machiavellismo. Ed a proposito di questa parola dirò che tanto essa quanto il nome del Machiavelli ho preferito di lasciarli anch’essi come li ho trovati, cioè con la «c» raddoppiata, come ancora oggi avviene di sentire nelle province meridionali.
M. V.