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304 nota


o cesure non possono dirsi certo metricamente perfetti. Sono persuaso che non se ne facesse una preoccupazione neanche l’autore, e quindi ho lasciato fino a quanto era possibile le cose come stavano.

In armonia con questo criterio, ho mantenuto intatta la determinazione attuata giá nella prima edizione di riprodurre le varianti Ponzio in una tavola a parte per notizia del lettore (vedi p. 307); ma di non accoglierne nessuna. E la ragione principale per me è stata appunto il fatto che le varianti proposte dal Ponzio sono dettate in buona parte dal desiderio di rendere il testo piú levigato, secondo i canoni correnti della lirica d’arte rinascimentale. Per es., al v. 13 del n. 19, di michelangiolesca potenza, la parola «corpo» è mutata in un petrarcheggiante «velo»; il v. 5 del n. 21 è raddolcito, e raddolcito da un «poscia»; il v. 12, tolta l’antitesi, è trasformato cosí: «ch’egli avverrá che l’huomini condanni»; il v. 5 del n. 38 trasformato accademicamente cosí: «d’ogni discordia e servitude immonda», etc.

Ma, coerentemente col proposito di dare carattere unitario al mio lavoro, ho scartato senza rimpianto tutte le altre proposte di correzioni dello stesso genere di quelle del Ponzio, anche se elaborate con maggiore riflessione e con diverso gusto. Se ci si affida ad un certo gusto, uno su per giú ne vale un altro, e non è detto che il gusto dei tempi del Ponzio valesse tanto meno di quello nostro.

Cosi sono ritornato al testo originale quasi integralmente — cioè solo con leggeri spostamenti d’interpunzione, a anche questi non frequenti — in casi come questi: p. 28, n. 20, v. 11: verso giá non piaciuto all’Orelli e poi al D’Ancona, dalla cui manipolazione provenne all’incirca la correzione di questa prima edizione; p. 29, n. 21, v. 7; p. 42, n. 26, v. 13; p. 76, n. 31, v. 2; p. 87, n. 36, madr. 5, v. 1; p. 107, n. 62, v. 1: tutti versi certamente poco fluidi, ma punto alieni dalla fisionomia campanelliana.

In altri casi non mi è parso di modificare il senso del verso cambiando parole, che, se non m’inganno, sono abbastanza intelligibili nel contesto. Cito due casi: p. 66, n. 30, vv. 5-7: la versione originale è come si trova in questa edizione. Nella precedente «briglie» era sostituito con «brighe». Non ne ho vista la necessitá; e cosí a p. 120, n. 73, madr. 4, v. 4, dove il «paghe» originario era mutato in «piaghe». A me è parso che «paghe» aderisse molto di piú al senso di tutta la strofe, dove si parla di suonatori pagati, di furti e pervertimenti tra gente avida.