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nota 577

Ma non dalla fortuna appresi mai, né so né di saper desidero d’esser crudele ecc.», cosí ricomposto dalla lezione manoscritta: «ma ecc. ecc. discesi, e per quella legge che sono gli umani corpi della natura tratta, io similmente, ma non della fortuna. Né appresi mai, né so essere, né desidiro di saperlo, crudele ecc.», che sintatticamente rimane sempre contorto, ma da un senso piú congruo.

Pag. 229: «... sogliono i miseri ne’ tuoi lacci avviluppati prendere parte. Questo ti scusa, che la tua natura è tale ecc.» , con un periodo che non ha senso e che i codici leggono: «... sogliono i miseri, ne’ tuoi lacciuoli avviluppati, prendere per te questa scusa: che la tua natura è tale ecc.».

Pag. 245: «... io non so quali liti saranno da me cercati, né alle cui mani misera debba pervenire. Niuno è che la sua pena alla mia tristizia possa agguagliare ecc.», dove il secondo periodo è completamente staccato dal precedente. E invece leggiamo: «... io... pervenire. Ma a niuno ne verrò che uguale tristizia non sia la mia ecc.».

Pag. 260: «Hai tu paura che un’altra giovane non si trovi piú bella di Biancofiore? Se non sará ne’ nostri regni, non è troppo lontano ecc.», che nel nostro testo ha una diversa disposizione e un ritmo piú efficace: «Hai tu paura... Biancofiore? Ci sará! A’ nostri regni non è guari lontano ecc.».

Ancora piú interessante è la lacuna di un intero inciso, che nelle stampe è soppresso perché rimasto incompreso, a pag. 261: «Voi [o marmi] forse insieme col mio nimico padre invidiosi de’ miei beni, mi celate quello di che piú mi dilettai di vedere», a cui i codici aggiungono: «serbando la natura d’Aglauro, con voi insieme d'una qualitá tornata». La difficoltá stava nell’intendere il nome ‛Aglauro’ che nei manoscritti appare corrotto ‛delli auguri’, ‛degluro’ ecc., e qualcuno perfino sopprime la parola o la tralascia in bianco): soltanto il Corsiniano G. 44, 15 dá la lezione esatta. E il mito d’Aglauro si adatta benissimo, poiché essa fu tramutata in pietra, nella stessa qualitá della soglia dalla quale impediva l’adito (cfr. Ovidio, Metamorfosi, II, vv. 708 e sgg.; e l’episodio ha fornito altri motivi allo stesso Filocolo, che vi ha ripreso la descrizione della casa dell’Invidia).