Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/210

176 Giovanni Boccacci

     A Baia ’n seno esser colei1, invita2,10
     Che muove e gira tutti e disir miei.
     Or dormiss’io infino alla redita3,
     O girmene potessi là con lei4,
     O non sapere ch’ella vi fosse ita.


Per certo, quando il ciel con lieto aspetto
     Riguarda qua5 nella stagion novella6,
     Nulla contrada à ’l mondo così bella
     Né dove più si prenda di diletto.
     Quivi Amor regna sanz’alcun sospetto,5
     O ’l ciel che [’l] faccia [o] singulare stella7;
     Venere credo poi venisse in quella,
     Del mare uscendo, come in luogo eletto8.
Quivi le piagge la marina i prati
     Son pien di donne e di leggiadri amanti,10
     E ciò che piace par vi si conceda.
     Quivi son feste e dilettosi canti;
     Quivi si mettono amorosi aguati,
     Né mai sanza gioir si leva preda9.


  1. Tornata la primavera, la Fiammetta — non possiamo che chiamar così la donna — , s’è recata, come suole ogni anno (cfr. son. LXI), alla sua villeggiatura di Baia, in seno a Baia.
  2. «Contro voglia,» latinismo.
  3. Cfr. p. 99, n. 1.
  4. Ma non può, ché gli è stato interdetto dall’amata (LX, 13-14).
  5. A Baia: cfr. v. 9.
  6. Nel nuovo tempo, com’è detto nel son. precedente, v. 8.
  7. «Produca quest’effetto il cielo o l’influsso di una stella particolare.»
  8. Per la potenza di Venere a Baia, cfr. LXV, 9-11.
  9. È una descrizione che fa degno riscontro al son. LXV ricordato nella n. precedente: ma v’è in meno quell’accento di accorata gelosia, d’incoercibile preoccupazione, il quale rende tanto più drammatica l’altra poesia. Cfr. anche p. 97, n. 6.