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nota 445

Mi sbrigo in fretta di due parole sulle quali non occorre insistere, trattenendomi un po’ di piú sopra un altro punto, che credo d’una certa importanza. Non s’è badato che A stampa Leri XVI (XVIII C) 185, 8, come senza dubbio pronunziava l’Ariosto: e cosí, a tacer del Ruscelli che non andava troppo pel sottile, persino i diligentissimi Morali e Panizzi leggono Leri, seguiti dal solito codazzo. In XXIII 24, 6 molti Edd., leggendo estimo, fanno esprimere al Poeta come suo un apprezzamento ch’egli intendeva d’attribuire a Bradamante: ce ne assicura l’extimò di A, avvertito dal Panizzi. non dal Ruscelli né dal Morali.

Se per queste quisquilie A fu a torto dimenticato, in un’altra questione, che invece ha una certa importanza, io penso che sia stato frainteso. Il Morali, incerto sul modo di leggere pote, che tante volte occorre nel poema, accentuò quando ad esso pote corrisponde in A un puotè, potè (VII 34, 5, XVI 39, 1, XXI 54, 8 ecc., XXIII 69, 1), e quando l’accento sia richiesto dal ritmo (XXI 62, 4, XXIV 104, 3 ecc.), ed a capriccio qua e lá (XLI 102, 5, XLIII 186, 4); in ogni altro caso la mancanza d’accento nei puote di A fa sí ch’egli stampi pote riproducendo C.

Bisogna avvertire che l’Ariosto nella prima ediz. usava, oltre a puoté, poté, e con lo stesso significato, puote. In B, e poi piú decisamente in C, il passato remoto non ha altra forma che poté; in altri termini, il Poeta non usò piú il pres. con valore di perfetto. Cosí, per citar solo due ess., ad un:

piú non lo puote la sorella udire,

corrisponde in BC:

non lo pote piú la sorella udire XXXIII (XXXVI C) 76, 8.

Ancora, nella prima ediz.:

fe’ Brandimarte ciò che puote, e quando
non puote piú diede alla furia luoco,

riuscirá emendato:

ciò che pote fe’ Brandimarte, e quando
non pote piú    .   .   .   .   .   .    BC XXV (XXVII C) 33, 5-6.

E finalmente:

e dopo ancora mai segno di riso
non puote far, né d’allegrezza in viso A

 

far non pote, né d’allegrezza in viso BC XXXVII (XLI C) 32, 8.