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62 | il volta alpinista |
suo sonetto poi — scritto, dicesi, a sedici anni per la vestizione religiosa fra i Somaschi del nobile Giorgio Odescalchi — trovasi una bella imagine alpinistica; difatti il sonetto comincia:
Giovin signor, che con arditi passi |
Il Volta non è venuto meno alla tradizione eminentemente italiana dell’armonia fra la scienza e l’arte, del mutuo riverbero, come direbbe l’Humboldt, fra il pensiero ed il linguaggio. I principali scienziati del nostro paese furono, nel tempo istesso, ottimi scrittori, e talvolta anche poeti. La letteratura italiana ha splendidi modelli di prosa nelle opere scientifiche del Galilei, del Castelli, del , del Torricelli, del Boselli, del Redi, del Cassini, del Viviani, del Magalotti, del Vallisnieri, dell’Algarotti, dello Spallanzani, del Brocchi, dello Stoppani e di tant’altri valenti che seppero esporre con forma eletta e viva le più ardue nozioni delle rispettive dottrine. E fra gli scienziati poeti basterà ricordare i matematici Paolo dell’Abbaco, il Maurolico, l’Alberti, il Baldi, il Torelli, il Marchetti, il Tartaglia, il Manfredi, il Ceva, il Clerici, il Mascheroni, il Venini, il Del Grosso, ecc., per dare una idea della pleiade d’illustri italiani che mentre coltivavano le più severe e fredde discipline, avevano slanci di vera e calda poesia. Seguendo appunto questa tradizione il Volta, benchè profondamente immerso nelle sue esperienze e nelle sue ricerche di fisica, si dilettò di belle lettere, ed usò della poesia per manifestare a quando a quando i moti del suo animo, che estasiavasi al cospetto delle magnificenze della natura e commovevasi agli ardimenti degli studiosi per istrapparne i segreti. L’ascensione al Monte Bianco era proprio tale impresa da eccitar l’estro del Volta, sia pel grande valore scientifico della stessa, sia per l’a-
di luce poetica: e, fra le altre cose, dettò per maniera di esercitazioni scolastiche un poemetto in esametri intorno alle più rilevanti scoperte nella fisica allor conosciute„.
Ed osserva che questo componimento potrebbe “far arrossire, non dico tutti gli scolari che molti anni sprecarono ad imparar la lingua del Lazio, ma la più parte dei professori che affermano d’insegnarla; e quantunque non abbia veri lampi di genio, è nel suo dettato bastevolmente corretto, spesso elegante„.
Il Cantù nella sua Storia di Como (vol. II, pag. 361, ediz. 1856) dice del Volta: “Fece tra le altre cose un poemetto di ottocento versi latini sulle stagioni, e lo recitò a lingua corrente. Se ne conserva un altro, ove trattò dell’oro, della polvere fulminante, di fuochi fatui, dell’elettricità: opera da giovane, ma che mostra come tendesse a far parlare alla poesia il severo linguaggio delle scienze. Neppur maturo non rinnegò mai le Muse, ed ho alla mano alcuni suoi versi d’occasione, che possono ben disgradare quelli di cert’altri, che non sapevano nulla più che credersi eccellenti poeti... — Il poemetto sulle stagioni andò perduto.