Otto mesi nel Gran Ciacco/Parte prima/XVIII

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XVIII

RELIGIONE DEI SEPOLCRI



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li Indiani hanno la religione dei sepolcri, e si può dire che l’abbiano avuta sempre.

Presso la città di Santiago dell’Estèro ho visto i tumuli e le pentole in essi contenute. Questi tumuli sono sull’orlo d’una ripa di un antico letto dell’attuale Rio Dulce. Le pioggie o l’artifizio umano, rodendoli e scavandoli, pone al nudo i vasi, che si trovano numerosi. Ve ne ha di diverse dimensioni ed alcuni di un 60 centimetri d’altezza e di un 40 di corpulenza; ve ne ha dei greggi e dei verniciati e decorati con cordoni merlettati e con disegni a righe disposte geometricamente; la pasta e i colori sono belli.

In queste pentole si collocavano o le ceneri o le ossa dei cadaveri. Il terreno che sottostà a coteste ripe, da cui ormai non le divide che una ondulazione, è rivestito di annosi algarrobi e di altre piante proprie dei terreni d’alluvione attuale, cioè d’alluvione prodotta dai fiumi quali si trovano idrograficamente disposti oggidì. Nei terreni, o d’emersione, o di alluvione d’un’epoca anteriore all’attuale per condizioni climatologiche e idrologiche come per esempio di quella glaciale, vegetano altre specie di piante. È una mia osservazione per[p. 136 modifica]sonale di cui sono sicurissimo e che ho esposto anche in rapporti ufficiali.

Or bene, non vi è dubbio che quando si formarono cotesti sepolcreti, correva il fiume al piè della ripa, essendo tal circostanza la prima condizione di vita cercata dai selvaggi e dai civili in tutto il mondo: e siccome tutto dimostra la notevole lontananza di cotesta epoca, quindi emerge chiara la conclusione che anche allora si teneva cura speciale dei cadaveri.

In Calingasta, nella Cordigliera di San Juan, si trovano sepolcri in forma di pozzo, non murato perchè il terreno regge da sè, e coperti con una lastra: lì a lato del cadavere si trovano oggetti, soprattutto una specie di gamma e, mi pare, anche il cane. In uno fu rinvenuto un oggetto in forma di ventaglio rigido, di pietra a pulimento, e che doveva essere uno specchio. Ciò si usava anche tra gli Etruschi, e mi rammento che in un sepolcro di questi fu trovato dall’ingegnere P. Busatti a Sovana, in Maremma Toscana, uno specchio di argento, che io vidi, con un magnifico disegno inciso rappresentante, a mio parere, il Giudizio di Paride.

In altra parte di S. Juan, presso la Sierra de Pié de Palo, a lato di un mucchio di pietre, pintadas, fu trovata una stanza mortuaria indiana con molti cadaveri.

Nelle montagne di Salta e di Jujui, nella Puna, si trovano sepolcri (guacas) in forma di piccoli forni di pietra a volta come quelli che qua si usano nelle campagne, dove sono fin tre cadaveri, posti a sedere incappottati o imbacuccati, con al lato, alcune volte, pentole contenenti oro e argento. In oggi i Coja, cristiani discendenti da quelli Indiani che dipendevano dall’Impero del Perù o degli Inca, vanno cercando cotesti sepolcri e raccogliendo le ossa per dar loro messa, come essi dicono: ma l’avidità li ha quasi sempre prevenuti, sicchè mentre trovano le ossa non trovano però gli oggetti preziosi con cui furono seppellite. Non si distingue di che roba fossero [p. 137 modifica]vestiti, perchè appena sono allo scoperto e al contatto dell’aria si disfanno in polvere.

I Ciriguani, nel Ciacco di Bolivia, usano rinchiudere ancor essi i morti dentro un coppo, che sotterrano sotto il suolo dello stesso rancho. Così la casa d’abitazione lo è pei vivi e pei trapassati e, o ne sia causa o effetto, o l’una e l’altro insieme, i Ciriguani non sono nomadi. Essi pongono molta cura nella pittura di cotesti coppi, di cui l’assortimento e la decorazione sono in proporzione delle facoltà delle famiglie.

I coppi sono cotti, e la verniciatura, fatta con un bitume rosso di cattivo odore, è data a crudo o a cotto, riescendo più brillante e più chiara nel primo caso, e più scura nel secondo.

Sopra il coperchio del coppo sotterrato, tengono alcuni il fuoco acceso per un mese: certamente, se è vera questa pratica, per distruggere i gas perniciosi che si sprigionano durante la decomposizione del corpo.

I Ciriguani poveri, che non hanno coppi, sotterrano i cadaveri in fosse dentro il rancho, e abbandonano questo finchè non sia cessato il cattivo odore.

I corpi degli uccisi per colpa di ripetuti omicidii sono gettati in un campo o bruciati.

Alcuni Indiani, tra i quali i Cirionossi, che vivono sul confine di Bolivia o del Brasile, seppelliscono i morti dentro gli alberi. Perciò vanno nel più fitto del bosco, scelgono un giuccian, il cui tronco in forma di coppo floscio come sughero, lo vuotano e vi collocano il cadavere, tappandolo convenientemente perchè gli avvoltoii non lo divorino e non lo strazino. Nell’aprire la via del forte Sarmiento fu trovato poco fa punto uno di tali sepolcri.

apTra i Mattacchi s’usa di sotterrarli i morti, e da alcune tribù, quelle all’est al confine dei Toba, di bruciarli: costume questo che per analogia dobbiamo supporre comune ai detti Toba.

Le idee che guidano i Mattacchi nelle cerimonie dei sepolcri, dobbiamo crederle comuni agli altri Indiani selvaggi con [p. 138 modifica]cui stanno in continua relazione di guerra, alleati o nemici, e con cui hanno comune la religione degli spiriti.

Ora i Mattacchi, come già vi dissi, credono che l’anima del morto non abbia pace se non ne è seppellito il corpo nel territorio della tribù. Ignoro se per i guerrieri morti facciano un’eccezione. E credono anche, che l’anima, che essi chiamano héséch, mentre chiamano tzán il corpo e ahót il morto, non scenda sotterra tra le sue compagne, se prima il suo corpo non ha sofferto la decomposizione o pel fuoco o per l’aria. Dicono, che fino ad allora l’anima vagola intorno al rancho della famiglia, comparendo e lagnandosi.

Queste comparizioni delle anime e questi lamenti formano oggetto di molte storielle tra loro e di gran parte delle loro conversazioni, e c’è da scommettere che devono destare tra loro tante paure come tra noi.

Ne segue, che anche quando un individuo è morto fuori del territorio, vanno i parenti e gli abitanti della tolderia a cercarne i resti per dar loro sepoltura nella propria terra. Ma però, siccome trascinare un cadavere sarebbe cosa un po’ seria per gente che va a piedi e che deve spesso fare centinaia di chilometri, così aspettano che il cadavere abbia perduto le carni, e si trasportano le ossa. E con questo in niente pregiudicano il defunto, perchè tanto la sua anima non scenderà sotto terra che a decomposizione finita.

Frattanto, avvenuta la morte, se è di mattina, la sera stessa, e se di notte, la mattina appresso, collocano il cadavere dentro una buca: ma non lo cuoprono, lo tappano solamente con rame, affinchè le tigri, i cani e gli uccelli di rapina non possano farsene pasto. Finita la decomposizione, o lo bruciano, come ho detto, o lo cuoprono di terra definitivamente.

Quando l’individuo muore fuori via, allora involgono il cadavere in una rete aggomitolato e lo collocano sopra un albero coprendolo opportunamente per liberarlo dai soliti pericoli: l’anno dopo, o quando che sia, sempre però quando [p. 139 modifica]non ne sono rimaste che le ossa, tornano a raccoglierlo e lo portano al rancho, dove gli danno la ambita sepoltura.

In qualunque luogo lo collochino il cadavere, gli pongono sempre a lato una zucca riempita d’acqua. La ragione ne è che appena morto l’individuo, gli altri morti vanno a fargli visita: e perchè potrebbero aver sete costoro ed egli stesso, perciò gli pongono con che soddisfarla. Per chi sappia la importanza che ha in queste regioni l’acqua, comprenderà il valore che si dà a questo elemento in favore dei morti; e nella spiegazione scorgerà lo spirito ospitaliero e fraterno conservato attraverso della stessa morte.

Ma sia questa la ragione, o altra, di tal uso, che sotto una o altra forma esiste anche presso le altre tribù selvagge, tuttavia non può fare a meno di colpire l’analogia che havvi tra esso e le tradizioni di altri popoli, tra cui i Greci e i Romani antichi.

Si sa che i nostri antichi costumavano mettere una moneta nella bocca del morto, perchè pagasse Caronte che doveva traghettarli nell’Averno. Gli Egiziani rinserravano nei sepolcri biade ed altro, per servizio del morto. Grani trovati nel disseppellimento di cadaveri in Egitto hanno servito a dimostrare la durata della virtù vegetativa dei medesimi, perchè seminati hanno germinato e fruttato.

I popoli presso cui i cadaveri si bruciavano, uso che ora si aspira a rinnuovare, bruciavano anche con essi le vivande. Virgilio ne fa menzione, quando descrivendo le esequie che Enea fa al suo amico Miseno, bruciato sulla pira, canta così:

Altri, com’è dei più stretti congiunti
Antica usanza, vòlti i volti indietro,
Tenner le faci, e dier foco a la pira;
E gran copia d’incenso e di liquori
E di cibi e di vasi ancor con essi,
Si come è l’uso antico, entro gittarvi.

Un’altra analogia l’abbiamo nell’uso di cuoprire con un mucchio di pietre le sepolture praticato presso i popoli i più [p. 140 modifica]distanti. Infatti tra i Manzaneros «Indiani Araucani che vivono tra il Limay e il Neuquen in territorio Argentino alle falde orientali della Cordigliera» vige tal uso in proporzioni tali che dei viaggiatori hanno scambiato alcuni di questi tumuli per piccoli rialti naturali. Tra noi s’usa ancora di gettare nella fossa una zolla sul defunto dai presenti alla sepoltura, e lo stesso al piè delle croci che indicano al viandante una tomba. E vigeva parecchi secoli fa, quando Dante potè cantare di Manfredi:

L’ossa del corpo mio sarieno ancora
     In cò del ponte presso a Benevento,
     Sotto la guardia della grave mora.

La universalità, quindi, dell’uso rende ancor più plausibile la spiegazione della costruzione delle Piramidi considerate come sepolcri, non essendo in questo caso che l’esagerazione colossale della grave mora, di cui l’usanza doveva preesistere ed essere generale nella terra delle Piramidi.

La credenza nel bisogno dei morti di possedere nell’altro mondo ciò che godevano in vita, oltre essere stata tradizionale presso tutti i popoli, si può dire, dei due emisferi, ha dato luogo a usanze crudeli.

Tutti sappiamo infatti come nelle Indie, tra i seguaci della religione di Brama, si sia usato, e si usi ancora, che la moglie accompagni il marito morto, abbruciandosi sul rogo. È vero che per mitigare il dolore usavano far prendere narcotici alla vittima!

Nel nuovo mondo, i popoli che avevano religione e caste, usavano pure sacrifizii umani sulle tombe dei potenti, ai quali immolavano servi, ufficiali e le concubine più care, pei quali tutti era reputato un onore e un piacere l’essere i prescelti.

Si narra perfino che quando mori l’Inca Huaina Cápac, uno dei più grandi imperatori del Perù, furono mille le vittime umane immolate sulla sua tomba! E quale non sarà stato [p. 141 modifica]il numero presso i Messicani, pei quali i sacrifizi umani erano il pane quotidiano delle loro divinità, così come la carne umana dei prigionieri di guerra lo era pei loro stomachi?

E a completare l’analogia tra i due mondi, mentre gli Asiatici davano narcotici alle mogli prossime vittime, i Natces americani del Nord le ubbriacavano col tabacco.

Comparando il resultato di questa superstizione, cioè di aver bisogno dopo morte di ciò che si usa in vita, tra i popoli con religione e con civiltà e tra i popoli senza l’una, nè l’altra, cioè selvaggi, il bilancio umanitario è a favore di questi ultimi. In fatti tutti ugualmente poveri e ignoranti si contentano della umile e innocua offerta d’un bicchiere d’acqua e forse d’una manciata di algarroba, senza nemmeno l’olocausto di animali bruti, che secondo il Levitico è «offerta soave fatta per fuoco, di soave odore al Signore!»

Gli Indiani del Ciacco che, poveri e ignudi come vanno, non possono prendere occasione dalla morte dei loro cari per rendersi più interessanti con ricchi abiti negri, come i Cristiani, o con candide stoffe come i Chinesi, essi manifestano il lutto a loro modo, rapandosi la testa, unica parte che abbiano coperta. Le donne, invece di andare a ostentare il loro duolo pei templi e le piazze, si rifugiano nel loro toldo, evitando il contatto coi lor simili, studiando di mantenersi mute, e curando con maggior applicazione le loro faccende domestiche. Per un anno seguitano questo lutto, durante il quale è brutto rimaritarsi; vanno sempre per sentieri appartati, se debbono uscire, e incontrate si tappano il viso, rifiutano di parlare e ne sfuggono l’occasione. È accaduto che viaggiatori, imbattendosi in donne così scontrose e mute, e per sentieri sospetti, e ignorando il costume, le abbiano maltrattate e uccise.

Il tagliarsi i capelli è stato considerato anche presso popoli d’Europa come un atto di sacrifizio e di cordoglio. Tra i Barbari che invasero il crollante Impero Romano l’amante usava recidersi i capelli sulla tomba dell’amato. [p. 142 modifica]

Oltre il raparsi usano il pianto, che è in aria di monotona inespressiva cantilena, che pare convenzionale, accompagnata dal suono del pimpin, che è, come credo di aver detto altra volta, un mortaio scavato, con istrumenti o col fuoco, in un tronco, con acqua dentro e coperto d’una pelle stirata come in un tamburo. Su questa pelle battono colpi con una zucca vuota, nella quale hanno introdotto grani di maiz o noccioli di algarroba.

Il pianto in comune lo fanno in ore consuete, ma la vedova o la madre piange quasi sempre, ed anche mentre cammina fuori di strada per le sue faccende. Il morto è accompagnato alla sepoltura dai parenti e dagli amici, e, se è un cacicche amato o qualche stregone reputato, da tutta la tribù.

I cacicchi, e sopratutto gli stregoni bravi, hanno sempre una bella posizione tra gli ahót che li aspettano, presso i quali maggiore sarà la loro influenza quanto maggiore sarà stata la considerazione goduta tra i loro vicini e dimostrata all’atto della cerimonia funebre. E quando muore uno di essi, gli Indiani riuniti intorno al suo giaciglio, gli chiedono che laggiù tra gli ahót s’interponga, perchè l’ahót della tormenta, e quello della peste, o l’altro della carestia risparmii i loro toldi e visiti quelli dei loro nemici. E il moribondo glielo promette, e in compenso i suoi concittadini onorano i suoi funerali e aumentano così l’autorità benefica del morto presso gli ahót.

E che mai noi chiediamo ai nostri morti in odore di santità, sennonchè si facciano intercessori appo il Cielo a prò di noi altri pellegrini in questa valle di lacrime?

Il dolore riunisce gli uomini, e l’armonia del carattere umano, nei suoi atti e nei suoi detti, nelle sue speranze e nei suoi timori, non si rivela mai così splendidamente tra tutte le genti come dinanzi ai sepolcri!