Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire/Capitolo V

Nostri doveri

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CAPITOLO QUINTO




NOSTRI DOVERI





Nel descrivere il carattere dei popoli d’Italia, accennando alle cause che lo hanno prodotto, ed agli effetti che ne derivano, ho spesse volte ragionato dai doveri che ne spettano; per cui temo di cadere nel corso di questo capitolo in frequenti ripetizioni dello stesso pensiero. Per sottrarmi in parte almeno a simile inconveniente, altro non mi rimane che di ristringermi quanto più posso, e compendiare ciò che dovrò pure ripetere. — Ho detto, e parmi di averlo dimostrato, che una parte considerevole delle popolazioni italiane, non è abbastanza educata ad un libero e civile reggimento; anzi, che essa è tuttora ingolfata nei vizi che risultano da una lunga servitù ad un potere straniero e nemico, che le tolse o paralizzò a bello studio in essa ogni nazionale e patriottica virtù, nella scellerata speranza di renderla cieca ed insensibile al proprio avvilimento, pervertendola a tal punto che fosse incapace di vivere libera e civile.

Se non riescì interamente nel suo proposito il dispotismo che dall’Austria si diffuse sull’Italia, vi riesci però in parte; e questo infelice risultato è appunto ciò che oggi fieramente ne travaglia, e che dobbiamo distruggere. — Non riescì il dispotismo a farci amare la schiavitù, la quale al contrario ci divenne di giorno in giorno più [p. 128 modifica]aborrita, in modo che primo nostro pensiero, nostro sogno, nostro impaziente desiderio, era l’infrangere le secolari catene, e cacciare al di là delle Alpi ogni satellite del dominio straniero. — Non vi era sagrifizio che a noi sembrasse tale quando avesse per iscopo la fine della nostra cattività; e cotesta nostra accanita e costante resistenza che ci opprimeva, questo nostro inveterato abborrimento del giogo, fu appunto ciò che ne tenne luogo per molto tempo di ogni altra civile virtù, che ne ottenne finalmente la simpatia dei generosi, e ne diede la forza di combattere e di vincere i nostri tiranni.

Riescì in parte nell’iniquo suo intento il dispotismo; poichè partendo ci lasciò molte piaghe, che le sue catene e le sue sferzate ne avevano aperte. — Ci lasciò un criterio confuso di ciò che merita il nostro rispetto o il nostro disprezzo, cosicchè ci fidiamo e diffidiamo di tutti, secondo il capriccio del momento; un folle amore dell’ozio, che sotto il dispotismo straniero vestiva agli stessi occhi nostri l’aspetto di resistenza passiva al non legittimo Signore, d’invincibile ripugnanza all’idea di servire l’odiato governo, ma che oggi dovremmo gettare lungi da noi. — Ed invece di ciò, questo sciagurato amore dell’ozio lo conserviamo gelosamente; e, ciò ch’è peggio ancora, tentiamo di onestarlo col medesimo pretesto che nei tempi passati poteva essere giusta ragione per astenerci da ogni ufficio. — E diciamo tuttora, che siam mal governati, che non abbiamo tutta la libertà che eravamo in diritto di aspettare; oppure diciamo (ciò che più si avvicina al vero), che abbiamo troppa libertà, che il governo difetta di forza, di fermezza, di coraggio, di sagacia, di risolutezza, d’ogni dote insomma necessaria a ben reggere una nazione; e ne concludiamo, che il nostro concorso, che l’opera nostra a nulla rimedierebbe, e che non dobbiamo consumarci senza frutto pel paese. — Pretesti miserabili, pretesti creati al solo scopo di non ispogliarci di un abito che lusinga il nostro istinto, nel quale si compiace l’indole nostra.

Altra piaga lasciataci dal dispotismo straniero, come già dissi, è l’inclinazione ad imputare ogni nostro danno, ogni sventura, ogni calamità al governo. — Durante la dominazione straniera, il governo portava l’azione sua in ogni direzione e sopra ogni cosa che gli sembrasse di tale azione meritevole o bisognosa, senza essere trattenuto dal rispetto dei diritti altrui nè delle altrui libertà, in una parola senza essere [p. 129 modifica]frenato da legge, da istituzione o costituzione di sorta. — Un individuo che al governo diventasse sospetto, era tosto o arrestato ed indefinitamente tenuto prigione, o esiliato, o confinato in qualche povera borgata di una remota provincia. — Un opificio industriale che potesse giovare al paese, ma che poteva recare eziandio qualche danno ad un’altra provincia dell’impero, era dichiarato pericoloso e soppresso. — Un libro, un dramma destinato a risvegliar nelle popolazioni qualche scintilla di amor patrio, erano proibiti, e l’autore spietatamente perseguitato. — In quei tempi si poteva, senza pericolo di errare, vedere difatto la mano del governo in tutte le sventure che ne toccava di subire. Ma ora le cose camminano in modo al tutto diverso. — Il governo non interviene nelle faccende dei privati individui, se non quando le leggi sono da questi violate; e d’altra parte il governo costituzionale non è un essere a sè, un essere sui generis, diviso dalla nazione: egli è il rappresentante della nazione, eletto in modo più o meno diretto da essa; mutabile di giorno in giorno, non si regge e non esiste se non col concorso e l’appoggio della maggioranza dei rappresentanti del paese. — Che cosa significano dunque queste incessanti accuse che si muovono al governo, come s’egli esistesse a nostro dispetto o per nostra sventura? Significano una cosa sola: cioè che noi non intendiamo ciò che sia un governo nazionale, costituzionale e rappresentativo.

Queste sono le piaghe più profonde e d’indole più maligna che ne lasciò il passato, rimettendo per brevità di parlare della ignoranza, della superstizione, e di altri malanni, che ereditammo dai nostri padri, i quali vissero e morirono schiavi.

Non però tutti gli italiani sono infetti di cotai morbi. — Ve n’hanno molti, che dalla natura favoriti d’ingegno singolarmente docile e sano, o di una educazione eletta, o di fortuite e fortunate circostanze, pensano, sanno e sentono, come pensano, come sanno e come sentono gli uomini rispettabili dei paesi più inciviliti e più liberi. — Che di tali uomini non difetta l’Italia, chiaro risulta da tutto ciò che abbiamo tentato e condotto a buon fine nel corso degli ultimi sette anni. — A questi uomini spettano ora doveri immensi: ad essi spetta il salvare la patria dai molti pericoli che le sovrastano, ed a cui la espongono gli ignoranti, gli oziosi ed i malevoli, funesti prodotti del dispotismo straniero. — Non v’ha uomo dotato di [p. 130 modifica]qualche criterio e di una dose qualunque di senso comune, che non sia sino ad un certo punto responsabile dei pericoli che minacciano la patria, e dei danni che a lei ne possono risultare. Quando gli italiani decisero di strappare l’Italia allo straniero, e di rimaner padroni della loro terra natia, assunsero il dovere di guidare il paese in modo tale, che esso potesse mantenersi indipendente, e prosperare nella sua libertà. — Altrimenti, cioè se gli italiani assennati ed amanti della patria, che tanto sacrificarono per dare ad essa l’indipendenza, avessero pensato di rimanere poi inoperosi e di lavarsi le mani dell’uso che le moltitudini starebbero per fare della acquistata indipendenza, essi sarebbero colpevoli non solo, ma positivamente indegni di perdono.

Essi avrebbero esposto scientemente la patria a pericoli maggiori di quelli che le sovrastavano nel passato, e le avrebbero preparato un avvenire funesto, che chiamerebbe su essa ad un tempo il disprezzo dei contemporanei, la pietà dei posteri, e servirebbe di esempio alle future generazioni.

Mi si risponderà forse che singoli individui, per operosi e desiderosi del bene che sieno, nulla possono sulle moltitudini — Io credo invece che chiunque, per debole che naturalmente sia, acquista una ragguardevole autorità sulle masse, quando cammini a faccia scoperta ed a fronte alzata sulla retta via. — Del resto non vedo perchè gli individui che hanno opinioni, volontà e sentimenti comuni, debbono rimanere isolati gli uni dagli altri. — Riuniscano le loro forze, si associno, come già si associarono segretamente quando intrapresero di liberare la patria. — Quella era una impresa in cui l’individuo era pressochè impotente, poichè non poteva essere condotta a buon termine se non colla forza. Allora le associazioni erano interdette; e cionullameno una trama nascosta ordivasi in tutta Italia, e non so se un solo fra i patriotti italiani possa dire di non avere appartenuto ad una delle tante società che avevano per oggetto la liberazione del paese. — Oggi le associazioni fra i cittadini sono permesse non solo, ma raccomandate e protette; per cui nessun individuo può scusare la propria inazione col pretesto che gli sia vietato di operare.

Non registrerò qui per minuto i vari oggetti che tali associazioni potrebbero e dovrebbero proporsi, variando essi ad ogni passo, perchè [p. 131 modifica]in ogni città, in ogni provincia d’Italia, vi sono dei bisogni speciali. Dirò soltanto che i popoli sono suscettibili di progresso; e che con quella medesima facilità con cui gli italiani furono corrotti e pervertiti dal dispotismo, possono essere emendali ed illuminati dalla libertà e dalle istituzioni a cui questa serve di base. Osservino gli uomini assennati di ogni città, di ogni provincia italiana, quali più funesti effetti produsse nei loro concittadini il dispotismo straniero; e quindi riuniti, stretti fra loro da patriottico nodo, si accingano a combatterli, chiamando in loro sussidio il buon senso popolare, che in Italia così facilmente si risveglia, e dimostrino a tutti la falsità delle loro credenze, la vanità dei loro sospetti e dei loro pregiudizi, l’assurdità delle loro esigenze e delle loro pretese, le conseguenze inevitabili e funestissime della loro condotta, la necessità delle civili virtù, fra le quali la più cospicua è forse la tolleranza dei mali individuali, quando questi abbiano per risultato il maggior bene del maggior numero. — Facciano noto a chi lo ignora, che la libertà e l’indipendenza di una nazione, già schiava dalla caduta del romano impero sino ai giorni nostri, non sono beni che si acquistano con poca spesa e con poca fatica; e che il perdersi d’animo perchè pagandoli si scema il nostro avere, è un condursi da vile o da spensierato. — E mentre insegnano a chi le ignora le prime e più semplici verità fondamentali della vita nazionale e civile, si applichino a rimediare in qualche parte almeno ai danni reali che cagionano il malcontento delle moltitudini. — Si aprano dei negozi cooperativi, delle banche popolari, ed altre simili istituzioni, atte a combattere gli intrighi di certi capitalisti, che si arricchiscono speculando sulla miseria e sulla ignoranza del volgo, e mentre l’erario o i varii municipi sono costretti a gravare di qualche imposta gli oggetti di prima necessità, ne esagerano pel proprio loro illecito guadagno i prezzi correnti, e fanno credere al popolo che tale aumento rovinoso per lui sia opera del governo.

Insomma io vorrei che si formasse in Italia una vastissima associazione, nella quale s’inscrivessero tutti gli uomini dotati di buon senso, di patriottismo e di onestà, allo scopo di mettere in comune le loro facoltà, i loro mezzi ed i loro pensieri, per sollevare il povero dalla sua miseria, l’ignorante dalle sue tenebre, e per procurare a tutti l’opportunità di lavorare e di fruire dei vantaggi del [p. 132 modifica]l’industria e del commercio. — E finchè tale immensa associazione sia formata ed eserciti l’opera sua, vorrei che gli uomini più operosi, più esperti e più colti delle varie città d’Italia, si unissero e formassero delle associazioni parziali, tendenti tutte a quel medesimo fine, non tralasciando al tempo stesso di adoperarsi, anche come semplici individui, a persuader gli ignoranti ed i forviati dei loro errori, e del danno che ad essi e al paese tutto risulta dai pregiudizi loro. — Quando ogni uomo di senno ed amico del proprio paese abbia scolpito nella mente l’idea de’ suoi doveri verso il paese stesso, quando questa idea gli sia sempre presente, avrò ottenuto il fine ch’io mi prefissi scrivendo questi fogli; chè i mezzi non verranno meno a chi persiste nel cercarli, ed è risoluto di adoperarli quando ad esso si presentino. — Ciò di cui difettiamo è la costanza della volontà e della risoluzione.