Osservazioni sulla tortura/III
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§. III.
Come sia nato il Processo contro Guglielmo Piazza, commissario della sanità.
Mentre la pestilenza infieriva più che mai dopo la processione già detta, la mattina del giorno 21 giugno, 1630, una vedova per nome Caterina Troccazzani Rosa, che alloggiava nel corritore1 che attraversa la Vedra de’ cittadini, vide dalla finestra Guglielmo Piazza che dal Carrobio entrò nella contrada, e accostato al muro dalla parte dritta entrando, passò sotto il corritore, indi giunto alla casa di S. Simone, ossia al termine della casa Crivelli, che allora aveva una pianta grande di lauro2, ritornò indietro. Lo stesso fu osservato da altra donna per nome Ottavia Persici Boni. La prima di queste donne disse nell’esame, che il Piazza a luogo a luogo tirava con le mani dietro al muro: l’altra dice, che alla muraglia del giardino Crivelli aveva una carta in mano, sopra la qual mise la mano dritta, che mi pareva che volesse scrivere, e poi vidi che levata la mano dalla carta la fregò sopra la muraglia.
Attestano che ciò accadde alle ore otto, che era giorno fatto, e che pioveva. Le due donne sparsero nel vicinato immediatamente il susurro di aver veduto chi faceva le unzioni malefiche, riguardo alle quali in processo poi la Trocazzani Rosa disse aveva veduto colui a fare certi atti attorno alle muraglie, che non mi piacciono niente. La vociferazione immediatamente si divulgò da una bocca all’altra, come risulta dal processo; si ricercò se le muraglie fossero sporche, e si osservò che dall’altezza di un braccio e mezzo da terra vi era del grasso giallo, e ciò singolarmente sotto la porta del Tradati3, e vicino all’uscio del barbiere Mora. Si abbruciò peglia al luogo delle unzioni, si scrostò la muraglia, fu tutto il quartiere in iscompiglio.
Prescindasi dalla impossibilità del delitto. Niente è più naturale che il passeggiare vicino al muro, allorchè piove, in una città come la nostra, dove si resta al coperto della pioggia. Un delitto così atroce non si commette di chiaro giorno, nel mentre che i vicini dalle finestre possono osservare; niente è più facile che lo sporcare quante muraglie piace col favore della notte. Su di questa vociferazione il giorno seguente si portò il capitano di giustizia sul luogo, esaminò le due nominate donne, e quantunque nè esse dicessero di avere osservato che il muro sia rimasto sporco dove il Piazza pose le mani, nè i siti ne’ quali si era osservato l’unto giallo corrispondessero ai luoghi toccati, si decretò la prigionia del commissario della sanità Guglielmo Piazza.
Se lo sgraziato Guglielmo Piazza avesse commesso un delitto di tanta atrocità, era ben naturale, che, attento all’effetto che ne poteva nascere, e istrutto del rumore di tutto il vicinato del giorno precedente, non meno che della solenne visita che il giorno 22 vi fece ai luoghi pubblici sulla strada il capitano di giustizia, si sarebbe dato a una immediata fuga: gli sgherri lo trovarono alla porta del presidente della sanità, da cui dipendeva, e lo fecero prigione. Visitossi immediatamente la casa del commissario Piazza, e dal processo risulta che non vi si trovarono nè ampolle, nè vasi, nè unti, nè danaro, nè cosa alcuna che desse sospetto contro di lui.
Appena condotto in carcere Guglielmo Piazza fu immediatamente interrogato dal giudice, e dopo le prime interrogazioni venne a chiedergli se conosceva i deputati della parrocchia, al che rispose che non li conosceva. Interrogato se sapesse che sieno state unte le muraglie, disse che non lo sapeva. Queste due risposte si giudicarono bugie e inverisimiglianze. Su queste bugie e inverisimiglianze fu posto ai tormenti. L’infelice protestava di aver detta la verità; invocava Dio, invocava S. Carlo, esclamava, urlava dallo spasimo, chiedeva un sorso di acqua per ristoro; finalmente per cessare lo strazio, disse: mi facci lasciar giù che dirò quello che so. Fu posto a terra, e allora nuovamente interrogato rispose: io non so niente: V. S. mi facci dare un poco d’acqua; su di che nuovamente fu alzato e tormentato, e dopo una lunghissima tortura, nella quale si voleva che nominasse i deputati, egli esclamava sempre: ah, Signore, ah, S. Carlo! se lo sapessi lo direi; poi disperato dal martirio gridava: ammazzatemi, ammazzatemi: e insistendo il giudice a chiedergli, che si risolva ormai di dire la verità per qual causa neghi di conoscere i deputati della parrocchia, e di sapere che siano state unte le muraglie, rispose quell’infelice: la verità l’ho detta, io non so niente, se l’avessi saputo l’avria detto; se mi vogliono ammazzare che mi ammazzino: e gemendo e urlando da uomo posto all’agonia persistè sempre nello stesso detto, sinchè submissa voce, ripeteva di aver detta la verità, e perdute le forze cessò d’esclamare, onde fu calato e riposto in carcere.
Quale inverisimiglianza vi era mai nelle risposte del disgraziato Guglielmo Piazza? Egli abitava nella contrada di S. Bernardino, e non alla Vedra: poteva benissimo ignorare un fatto notorio a quel vicinato. Che obbligo avea quel povero uomo da saper chi fossero i deputati della parrocchia? Che pericolo correva mai egli, se gli avesse conosciuti, nel dirlo? Che pericolo correva mai se diceva pure di aver saputo che fossero state unte le muraglie alla Vedra?
Venne riferito al Senato l’esame fatto, e il risultato dei tormenti dati a quell’infelice: decretò il Senato che il presidente della sanità e il capitano di giustizia, assistendovi anche il fiscale Tornielli, dovessero nuovamente tormentare il Piazza: acri tortura cum ligatura canubis, et interpolatis vicibus, arbitrio, etc.; ed è da notarsi che vi si aggiunge abraso prius dicto Guglielmo, et vestibus curiae induto, propinata etiam, si ita videbitur praefatis praesidi et capitaneo, potione expurgante: e ciò perchè in quei tempi credevasi che o ne’ capelli e peli, ovvero nel vestito, o persino negl'intestini trangugiandolo, potesse avere un amuleto o patto col demonio, onde rasandolo, spogliandolo e purgandolo ne venisse disarmato. Nel 1630 quasi tutta l’Europa era involta in queste tenebre superstiziose.
Fa commovere tutta l’umanità la scena della seconda tortura col canapo, che dislocando le mani le faceva ripiegare sul braccio, mentre l’osso dell’omero si dislocava dalla sua cavità. Guglielmo Piazza esclamava, mentre si apparecchiava il nuovo supplizio: mi ammazzino che l’avrò a caro, perchè la verità l’ho detta; poi mentre si cominciava il crudelissimo slogamento delle giunture, diceva: che mi ammazzino, che son qui. Poi aumentandosi lo strazio gridava: oh Dio mi, sono assassinato, non so niente, e se sapessi qualche cosa non sarei stato sin adesso a dirlo. Continuava e cresceva per gradi il martirio, sempre s’instava e dal presidente della sanità e dal capitano di giustizia, perchè rispondesse sui deputati della parrocchia e sulla scienza d’essere state unte le muraglie. Gridava lo sfortunato Guglielmo: non so niente, fatemi tagliar la mano, ammazzatemi pure: oh Dio mi, oh Dio mi! Sempre instavano i giudici, sempre più incrudelivano, ed egli rispondeva esclamando e gridando: Ah Signore, sono assassinato! Ah Dio mi, son morto! Fa ribrezzo il seguire questa atroce scena! A replicate istanze replicava sempre lo stesso: protestando di aver detto la verità, e i giudici nuovamente volevano che dicesse la verità; gli rispose: che volete che dica? Se gli avessero suggerito un’immaginaria accusa, egli si sarebbe accusato; ma non poteva avere nemmeno la risorsa d’inventare i nomi di persone che non conosceva. Esclamava, o che assassinamento! E finalmente dopo una tortura, durante la quale si scrissero sei facciate di processo, persistendo egli anche con voce debole e sommessa a dire: non so niente, la verità l’ho già detta, ah! che non so niente, dopo un lunghissimo e crudelissimo martirio fu ricondotto in carcere.
- ↑ Questo corritore era sostenuto da un architrave posto sopra quattro Colonnette, ed appoggiavasi alla casa successiva a quella del Farmacista sig. Porati. Esso corritore fu demolito nel 1803, e la casa a cui era annesso la rifabbricò un Bartolommeo Barbini; da cui il sig. Avv. Borghi ottenne la Pietra portante l’iscrizione della Colonna Infame. (L’Editore.)
- ↑ Oggidì vi è una pianta di lauro, che si vede assai antica e che sopravanza il muro del giardino. Nella casa non alloggia alcuno della famiglia Crivelli. Vi alloggiano i signori Cattaneo. Dai libri parrocchiali di S. Lorenzo si vede che si sono battezzati dei figli di molte famiglie Crivelli dal 1623 al 1634: i padri di essi furono Vincenzo, Oliverio, Gian-Pietro, Andrea, Cristoforo, Gabriele, Gian-Paolo, Francesco, Antonio, Lodovico e Innocenzo, tutti Crivelli ammogliati, de’ quali si battezzarono i figli.
- ↑ Anche oggi giorno in quel distretto vi abita Giuseppe Tradati colla madre vedova; ma non essendo in casa propria, e pagando pigione al signor Ceriani proprietario, non so se abbia niente di comune con quei che in que’ contorni alloggiavano un secolo e mezzo fa.