Rime (Guittone d'Arezzo)/Ora parrà s'eo saverò cantare
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XXV
Amore è follia che ci distoglie dal ben fare, proprio della natura umana.
Ora parrá s’eo saverò cantare
e s’eo varrò quanto valer giá soglio,
poiché del tutto Amor fuggo e disvoglio,
e piú che cosa mai forte mi spare!
5Ch’ad om tenuto saggio odo contare
che trovare — non sa, né valer punto,
omo d’Amor non punto;
ma ch’è digiunto — da veritá mi pare,
se lo pensare — a lo parlare — assembra;
10ché ’n tutte parte, ove distringe Amore,
regge follore — in loco di savere.
Donqua como valere
po, né piacere — di guisa alcuna fiore,
poi dal fattore — d’ogne valore — dissembra,
15ed al contraro d’ogne manera sembra?
Ma chi cantare vole e valer bene,
in suo legno nochier diritto pone,
ed orrato saver mette al timone,
Dio fa sua stella e ver lausor sua spene;
20ché grande onor né gran ben non è stato
conquistato, — carnal voglia seguendo,
ma promente valendo,
ed astenendo — a vizi ed a peccato;
unde ’l sennato — apparecchiato — ognora
25de core tutto e di poder dea stare
ad avanzare — lo suo stato ad onore,
no schifando labore;
ché giá riccore — non dona altrui posare,
ma ’l fa alungiare; — e ben pugnare — onora:
30ma tuttavia lo ’ntenda altri a misura.
Voglia ’n altrui ciascun ciò che ’n sé chere,
non creda pro d’altrui dannaggio trare;
che pro non po ciò ch’onor tolle dare,
né dá onor cosa, u’ grazia ed amor pere;
35e grav’è ciò ch’è preso a disinore,
ch’a lausore — dispeso esser poria.
Ma non viver credria
senza falsia — fell’om, ma via maggiore
fora prusore — giusto di core — provato;
40ch’è piú onta, che morte, da dottare,
e portare — disragion, piú che dannaggio;
ché bella morte om saggio
dea di coraggio — piú che vita, amare;
ché non per stare, — ma per passare — orrato
45dea creder ciascun om d’esser creato.
En vita more e sempre in morte vive
omo fellon, ch’è di ragion nemico:
credendo venir ricco, ven mendico;
ché non giá cupid’om pot’esser dive,
50ch’adessa forte piú cresce vaghezza
e gravezza, — ove piú cresce tesoro.
Non manti acquistan l’oro,
ma l’oro loro; — e i plusor di ricchezza,
di gentilezza — e di bellezza — han danno.
55Ma chi ricchezza dispregia è manente,
e chi gent’è, — dannaggio e pro sostene,
e dubitanza e spene,
e se contene — de poco orrevolmente,
e saggiamente — in sé consente — affanno,
60secondo vol ragione e’ tempi danno.
Onne cosa fue solo all’om creata,
e l’om no a dormire, né a mangiare,
ma solamente a drittura operare;
e fue descrezion lui però data.
65Natura Deo ragion (scritta è comune)
reprensione — fuggir, pregio portare
ne comanda; ischifare
vizi, ed usare — via de vertú ne ’mpone,
onne cagione — e condizione — remossa.
70Ma, se legge né Deo no l’emponesse,
né rendesse — qui merto in nulla guisa,
né poi l’alma è divisa,
m’è pur avisa — che ciascun dovesse,
quanto potesse, — far che stesse — in possa
75onne cosa, che per ragione è mossa.
Ahi, come valemi poco mostranza!
Ch’ignoranza — non da ben far ne tolle,
quanto talento folle,
e ma’ ne ’nvolle — a ciò malvagia usanza;
80ché piú fallanza — è che leanza — astata.
No è ’l mal piú che ’l ben a far leggero.
Ma che? fero — lo ben tanto ne pare,
solo per disusare,
e per portare — lo contrar disidero;
85ove mainero — e volontero — agrata,
usar l’aduce in allegrezza orrata.
XXVI
Si conforta nell’amore di Dio, pensando con sempre maggior disgusto
al tempo trascorso nell’errore.
Vergogna ho, lasso, ed ho me stesso ad ira;
e doveria via piú, reconoscendo
co male usai la fior del tempo mio.