Opere minori (Ariosto)/Rime varie/Sonetto XXVII

Sonetto XXVII

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Sonetto XXVII.


     Se con speranza di mercè perduti
Ho i miglior anni in vergar tanti fogli,
E vergando dipingervi i cordogli
4Che per mirare alte bellezze ho avuti;
     E se fin qui non li so far sì arguti,
Che l’opra il côr duro ad amarmi invogli;
Non ho da attender più che ne germogli
8Nôvo valor ch’in questa età m’ajuti.
     Dunque, è meglio il tacer, donne, che ’l dire,
Poi che de’ versi miei non piglio altr’uso,1
11Che dilettar altrui del mio martire.
     Se voi Falari2 sete, ed io mi escuso,
Chè non voglio esser quel che per udire
14Dolce doler, fu nel suo toro chiuso.3


Note

  1. Uso, qui, per Utile, Pro; quasi, Usufrutto.
  2. Il Rolli soltanto legge: Falare.
  3. Va costruito e spiegato così: Se voi siete crudeli come Falaride in vedermi penare, io mi scuso, chè non voglio essere quel Perillo che fu da lui chiuso nel toro di bronzo immaginato da esso artefice, per udirlo dolersi armonicamente nel morire. — (Molini.)