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sonetti. 305

Sonetto XXVI.


     Qualvolta io penso a quelle fila d’oro
(Ch’al dì mille vi penso e mille volte),
Più per error, dall’altro bel tesoro,
4Che per bisogno e buon giudicio, tolte;
     Di sdegno e d’ira avvampo e mi scoloro,
E ’l viso ad or ad or e il sen di molte
Lagrime bagno, e di desir mi môro
8Di vendicar1 dell’empie mani e stolte.
     Ch’elle non sieno, Amor, da te punite,
Ti torna a biasmo. Bacco al re de’ Traci2
11Fe costar cara ogni sua tronca vite:
     E tu, maggior di lui, da queste audaci
Le tue cose più belle e più gradite
14Levar ti vedi, e tel comporti e taci?


Sonetto XXVII.


     Se con speranza di mercè perduti
Ho i miglior anni in vergar tanti fogli,
E vergando dipingervi i cordogli
4Che per mirare alte bellezze ho avuti;
     E se fin qui non li so far sì arguti,
Che l’opra il côr duro ad amarmi invogli;
Non ho da attender più che ne germogli
8Nôvo valor ch’in questa età m’ajuti.
     Dunque, è meglio il tacer, donne, che ’l dire,
Poi che de’ versi miei non piglio altr’uso,3
11Che dilettar altrui del mio martire.
     Se voi Falari4 sete, ed io mi escuso,
Chè non voglio esser quel che per udire
14Dolce doler, fu nel suo toro chiuso.5


  1. L’assoluto invece del riflessivo; cioè, vendicarmi.
  2. Licurgo, il quale avendo per disprezzo tagliate le viti, da Bacco per vendetta fu tratto a tagliarsi le gambe da sè medesimo. — (Pezzana.)
  3. Uso, qui, per Utile, Pro; quasi, Usufrutto.
  4. Il Rolli soltanto legge: Falare.
  5. Va costruito e spiegato così: Se voi siete crudeli come Falaride in vedermi penare, io mi scuso, chè non voglio essere quel Perillo che fu da lui chiuso nel toro di bronzo immaginato da esso artefice, per udirlo dolersi armonicamente nel morire. — (Molini.)

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