Opere minori (Ariosto)/Rime varie/Sonetto XXV

Sonetto XXV

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Sonetto XXV.


     Qual avorio di Gange o qual di Paro
Candido marmo o qual ebano oscuro,
Qual fin argento, qual oro sì puro,
4Qual lucid’ambra o qual cristal sì chiaro;
     Qual scultor, qual artefice sì raro
Farànne un vaso alle chiome che furo
Della mia donna, ove riposte, il duro
8Separarsi da lei lor non sia amaro?
     Chè, ripensando all’alta fronte, a quelle
Vermiglie guancie, agli occhi, alle divine
11Rosate labbra e all’altre parti belle,
     Non potría, se ben fosse, come il crine
Di Berenice, assunto fra le stelle,1
14Riconsolarsi e porre al duol mai fine.


Note

  1. Notissima favola, pel carme famosissimo di Catullo, rimastoci invece di quello perdutosi di Callimaco.