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304 sonetti.

Sonetto XXIV.


     Avventurosa man, beato ingegno,
Beata seta, beatissimo oro,
Ben nato lino, inclito bel lavoro
4Da chi vuol la mia Dea prender disegno;1
     Per far a vostro esempio un vestir degno,
Che copra avorio e perle, ed un tesoro
Che avendo io eletta,2 non tôrrei fra il moro3
8E il mar di Gange il più famoso regno.
     Felici voi! felice forse anch’io
Se mostrarle, o con gesti o con parole,
11Io potessi altro esempio ch’ella toglia!
     Quanto meglio di voi che imitar vuole,
Sarà se imita la mia fè, se ’l mio
14Costante amor, se la mia giusta voglia!


Sonetto XXV.


     Qual avorio di Gange o qual di Paro
Candido marmo o qual ebano oscuro,
Qual fin argento, qual oro sì puro,
4Qual lucid’ambra o qual cristal sì chiaro;
     Qual scultor, qual artefice sì raro
Farànne un vaso alle chiome che furo
Della mia donna, ove riposte, il duro
8Separarsi da lei lor non sia amaro?
     Chè, ripensando all’alta fronte, a quelle
Vermiglie guancie, agli occhi, alle divine
11Rosate labbra e all’altre parti belle,
     Non potría, se ben fosse, come il crine
Di Berenice, assunto fra le stelle,4
14Riconsolarsi e porre al duol mai fine.


  1. Il Sonetto è certamente fatto per qualche egregio modello di veste femminile che la Benucci Strozzi avesse preso a ricopiare in drappo da rivestirne sè medesima. Vuole il Baruffaldi che l’Ariosto avesse altre volte veduta Alessandra «intesa al ricamo di un manto o sopravveste che dovea servire per uno de’ suoi figliuoli (avuti dallo Strozzi) nelle comparse alle pubbliche feste;» e che a questa abilità di lei alludesse ancora nella st. 66, c. XXIV del Furioso. Vita ec., p. 152.
  2. Cioè: se a me toccasse la scelta. — (Molini.)
  3. Vedi la nota 1 a pag. 292.
  4. Notissima favola, pel carme famosissimo di Catullo, rimastoci invece di quello perdutosi di Callimaco.