Opere minori (Ariosto)/Rime varie/Canzone I

Canzone I

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Rime varie Rime varie - Canzone II
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CANZONE PRIMA.




     Non so s’io potrò ben chiudere in rima
Quel che in parole sciolte
Fatica avrei di raccontarvi a pieno:
Come perdei mia libertà,1 che prima,
5Madonna, tante volte
Difesi, acciò non n’avesse altri il freno.
Tenterò nondimeno
Farne il poter, poi che così v’aggrada;
Con desir che ne vada
10La fama, e a molti secoli dimostri
Le chiare palme e i gran trionfi vostri.
     Le sue vittorie ha fatto illustri2 alcuno,
E con gli eterni scritti
Ha tratto fuor del tenebroso oblio:
15Ma li perduti eserciti nessuno,
E gli avversi conflitti,
Ebbe ancor mai di celebrar disio.
Sol celebrar vogl’io
Il dì ch’andai prigion ferito a morte;
20Chè, contra man sì forte,
Ben ch’io perdei, pur l’aver preso assalto,
Più che mill’altri vincitor mi esalto.

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     Dico che ’l giorno che di voi m’accesi
Non fu il primo che ’l viso
25Pien di dolcezza ed i real costumi
Vostri mirassi,3 affabili e cortesi;
Nè che mi fosse avviso
Che meglio unqua mirar non potean lumi:
Ma selve e monti e fiumi
30Sempre dipinsi innanzi al mio disire,
Per levargli l’ardire
D’entrar in via dove per guida pórse
Io vedea la speranza, e star in forse.
     Quinci lo tenni e mesi ed anni escluso;
35E dove più sicura
Strada pensai, lo vôlsi ad altro corso:4
Credendo poi che più potesse l’uso
Che ’l destin, di lui cura
Non ebbi; ed ei, tosto che senza morso5
40Sentissi, ebbe ricorso
Dov’era il natural suo primo istinto;
Ed io nel laberinto
Prima lo vidi, ove ha da far sua vita,
Che a pensar tempo avessi a dargli aita.
     45Nè il dì nè l’anno tacerò nè il loco
Dove io fui preso, e insieme
Dirò gli altri trofei ch’allora aveste,
Tal che appo loro il vincer me fu poco.
Dico, dà che il suo seme
50Mandò nel chiuso ventre il Re celeste,
Avean le rôte preste
Dell’omicida lucido d’Achille6
Rifatto il giorno mille
E cinquecento tredici fiate,
55Sacro al Battista in mezzo della state.
     Nella tosca città, che questo giorno
Più riverente onora,

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La fama avea a spettacoli solenni
Fatto raccôr, non che i vicini intorno,
60Ma li lontani ancora.
Ancor io vago di mirar, vi venni.
D’altro ch’io vidi, tenni
Poco ricordo, e poco me ne cale:
Sol mi restò immortale
65Memoria, ch’io non vidi in tutta quella
Bella città, di voi cosa più bella.
     Voi quivi, dove la paterna chiara
Origine traete,
Da preghi vinta e liberali inviti
70Di vostra gente, con onesta e cara
Compagnia, a far più liete
Le feste e a far più splendidi i conviti,
Con li doni infiniti
In che ad ogni altra il ciel v’ha posta innanzi,
75Venuta erâte dianzi,
Lasciato avendo lamentar indarno
Il re de’ fiumi, ed invidiarvi ad Arno.
     Porte, finestre, vie, templi, teatri
Vidi pieni di donne
80A giochi, a pompe e a sacrificî intente,
E mature ed acerbe e figlie e matri,
Ornate in varie gonne,
Altre stare a conviti, altre agilmente
Danzare; e, finalmente,
85Non vidi, nè sentíi ch’altri vedesse,
Chi7 di beltà potesse,
D’onestà, cortesía, d’alti sembianti
Voi pareggiar, non che passarvi innanti.
     Trovò gran pregio ancor, dopo il bel volto,
90L’artificio discreto
Ch’in aurei nodi il biondo e spesso crine
In rara e sottil rete avea raccolto.
Soave ombra di drieto
Rendea al collo, e dinanzi al bel confine
95Delle guance divine,
E discendea fin all’avorio bianco
Del destro omero e manco.

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Con queste reti insidïosi Amori
Preser quel giorno più di mille côri.
     100Non fu senza sue lodi il puro e schietto
Serico abito nero,
Che, come il sol luce minor confonde,8
Fece ivi ogn’altro rimaner negletto.
Deh! se lece il pensiero
105Vostro spiar, deli’implicate fronde
Delle due viti, d’onde
Il leggiadro vestir tutto era ombroso,
Ditemi il senso ascoso.
Sì ben con ago dotta man le finse,
110Che le porpore e l’oro il nero vinse.
     Senza misterio non fu già trapunto
Il drappo nero, come
Non senza ancor fu quel gemmato alloro
Tra la serena fronte e il calle assunto9
115Che delle ricche chiome
In parte ugual va dividendo l’oro.
Senza fine io lavoro,
Se quanto avrei da dir vô porre in carte;
E la centesma parte
120Mi par ch’io ne potrò dire a fatica,
Quando tutta mia età d’altro non dica.
     Tanto valor, tanta beltà non m’era
Peregrina nè nôva;
Sì che dal folgorar d’accesi rai,
125Che facean gli occhi e la virtude altera,
Già stato essendo in prova,
Ben mi credea d’esser sicuro omai.
Quando men mi guardai,
Quei pargoletti che nell’auree crespe
130Chiome attendean, qual vespe
A chi le attizza, al côr mi s’avventaro,
E nei capelli vostri lo legaro.
     Vel legaro in sì stretti e duri nodi,

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Che più saldi un tenace
135Canape mai non strinse, nè catene;
E chi possa venir che me ne snodi,
D’immaginar capace
Non son, s’a snodar morte non lo viene.
Deh! dite: come avviene
140Che d’ogni libertà m’avete privo,
E menato captivo;
Nè più mi dolgo ch’altri si dorria
Sciolto da lunga servitute e ria?
     Mi dolgo ben, che de’ soavi ceppi
145L’ineffabil dolcezza,
E quanto è meglio esser di voi prigione
Che d’altri re, non più per tempo seppi.
La libertade apprezza
Fin che perduta ancor non l’ha il falcone:
150Preso che sia, depone
Del gire errando sì l’antica voglia,
Che sempre che si scioglia,
Al suo signore a render con veloci
Ali s’andrà, dove udirà le voci.
     155La mia donna, Canzon, solo ti legga,
Sì ch’altri non ti vegga,
E pianamente a lei di’ chi ti manda:
E s’ella ti comanda
Che ti lasci veder, non star occulta,
160Se ben molto non sei bella nè culta.




Note

  1. Il Baruffaldi fece un lungo comento a questa Canzone, colla quale il poeta descrive l’amore da lui concepito in Firenze per Alessandra di Francesco Benucci, che da poco era rimasta vedova di Tito di Leonardo Strozzi, abitante in Ferrara al servizio del duca, e cognata del fiorentino Niccolò Vespucci, presso cui Lodovico, cominciando dal giugno del 1513, avea dimorato per lo spazio di sei mesi.
  2. Il Barotti e il Molini ritennero l’antica o erronea desinenza: illustre.
  3. Mostra di aver conosciuta l’Alessandra altrove, prima che in Firenze.
  4. Vorrebbesi riferibile alla Canzone posta da noi fra le attribuite, che comincia: «Quando il sol parte ec.»
  5. Senza il ritegno procedente dal legame maritale di Alessandra con lo Strozzi.
  6. Apollo, che diresse lo strale avvelenato di Paride quando colpì Achille nel tallone. — (Molini.)
  7. Barotti e Molini: che.
  8. Questa voce, trasferita sì spesso dalle cose fisiche alle morali, venne anche talvolta ricondotta dalle morali alle fisiche; come in questo luogo, e nel Tes. Br., 2, 37: «Ella monta tanto in alto, che ’l calor del sole la confonde.»
  9. Locato in alto, cioè l’alloro, tra la fronte, e il calle cioè (poeticamente) la discriminatura o dirizzatura (oggi divisa) de’ capelli.