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canzone prima. | 283 |
La fama avea a spettacoli solenni
Fatto raccôr, non che i vicini intorno,
60Ma li lontani ancora.
Ancor io vago di mirar, vi venni.
D’altro ch’io vidi, tenni
Poco ricordo, e poco me ne cale:
Sol mi restò immortale
65Memoria, ch’io non vidi in tutta quella
Bella città, di voi cosa più bella.
Voi quivi, dove la paterna chiara
Origine traete,
Da preghi vinta e liberali inviti
70Di vostra gente, con onesta e cara
Compagnia, a far più liete
Le feste e a far più splendidi i conviti,
Con li doni infiniti
In che ad ogni altra il ciel v’ha posta innanzi,
75Venuta erâte dianzi,
Lasciato avendo lamentar indarno
Il re de’ fiumi, ed invidiarvi ad Arno.
Porte, finestre, vie, templi, teatri
Vidi pieni di donne
80A giochi, a pompe e a sacrificî intente,
E mature ed acerbe e figlie e matri,
Ornate in varie gonne,
Altre stare a conviti, altre agilmente
Danzare; e, finalmente,
85Non vidi, nè sentíi ch’altri vedesse,
Chi1 di beltà potesse,
D’onestà, cortesía, d’alti sembianti
Voi pareggiar, non che passarvi innanti.
Trovò gran pregio ancor, dopo il bel volto,
90L’artificio discreto
Ch’in aurei nodi il biondo e spesso crine
In rara e sottil rete avea raccolto.
Soave ombra di drieto
Rendea al collo, e dinanzi al bel confine
95Delle guance divine,
E discendea fin all’avorio bianco
Del destro omero e manco.
- ↑ Barotti e Molini: che.