Opere minori (Ariosto)/Lettere/Lettera VI

Lettera VI

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VI.1

Al medesimo.

Illustrissimo ed eccellentissimo Signor mio.

Perchè credo che V. E. ec. amava assai messer Rainaldo2 mio cugino e fratello, e grande servitor suo, mi parría di commetter gran fallo a non dar avviso che oggi a nove ore è passato di questa vita; ed in quattro dì si è spacciato,3 dopo [p. 537 modifica]che era tornato dalli bagni di Caldera. Tutti noi suoi amici e parenti ha lasciato di mala voglia, ma sopra tutti Madonna Contarina sua moglie; la quale, ancor che sia molto tribolata e in tanta agonía che io dubito che non gli môra appresso, pur non si è scordata di pregarmi che io ne dia avviso a V. E. ec., che crede che sarà partecipe del suo dolore. Alla quale meco insieme bacia le mani, e in buona sua grazia si raccomanda.

Di V. Ecc.
Da Ferrara, 7 luglio 1519.

Deditiss. servitore,
Ludovico Ariosto.


Fuori — All’Illustmo ed Eccmo Signore Osservandmo
          il Sig. Marchese di Mantova.


Note

  1. Pubblicata dal signor Mortara, tra le Epistole ec., pag. 16; poi riprodotta come inedita dal signor Braghirolli, tra le Lettere ec., pag. 17. Vedasi la nota 1 alla nostra pag. 534.
  2. Nella edizione del Braghirolli vedesi aggiunto: «Ariosto.» È questi quel cugino alla cui eredità il poeta co’ suoi fratelli aspirarono inutilmente, secondo che narra il Baruffaldi, Vita ec., pag. 181-182; e fors’anche il medesimo del quale si parla nei v. 137-138 della Satira III.
  3. «Del morbo ond’ebbe a morire questo cugino dell’Ariosto, bellissimo documento, in una lettera di mano dello stesso Rainaldo, ne ho io dato per dono al chiarissimo bibliografo abate Marchi modenese, mio carissimo amico.» — (Mortara.)