Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova/XII
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MONUMENTO
SACRO ALLA
CONTESSA D’HARO
NATA
SANCTA CRUX
in marmo
XII.
In questa forma
Passa la bella donna, e par che dorma.
La profonda e squisita sensibilità del cuore, ed il fervore della calda e ben fornita immaginazione, immedesimando sempre il nostro sommo Artista al soggetto medesimo che rappresenta, non è meraviglia se tutto spiri nelle divine sue composizioni, e desti, in chi le contempla, quelle sensazioni medesime, quel medesimo sentimento dei personaggi, che la parte drammatica ne compongono. A suo piacere, con la verità sublime della sua espressione, Canova inalza l’animo nostro ora fino alla quasi inconcepibile Stoica virtù; ed ora lo ammollisce, lo intenerisce, lo affligge, lo rallegra, o crudelmente lo strazia. Tal è l’effetto che produce questo commovente bassorilievo, immaginato quasi a conforto della desolata materna pietà; e sculto ad istanza di una madre amorosissima per una amatissima figlia, rapita nel più bel fiore degli anni suoi e delle sue più dolci speranze. Improvviso fu il colpo che la tolse, e rapido sì, che, mentre la lieta sua famiglia in braccio a placido sonno credevala, in braccio a cruda morte la giovinetta giaceva. E già tu la vedi, pienotta e liscia la guancia, stesa supina sopra un letto elegante, vestita di un semplice lino rassettato a guisa di tunica sotto del petto, del bel petto ricolmo, che cuopre senza nascondere, nude lasciando le fresche e rotonde sue braccia. Che vuoi di più? Onde far noto che improvvisa fu la sciagura, l’accorto Scultore lasciò caderle giù dal capo lunghi e lisci i capelli, come se sciolti allora allora si fossero da un pettine o da un nastro che gli teneva raccolti. Essa non apparisce punto dissimile da bella persona placidamente e soavemente addormentata. Una fatal lucerna col tetro suo lume discuopre alla desolata famiglia tutto il suo danno. E qual famiglia! una tenera madre, uno sposo amante, tre giovinetti fratelli. Vestita con mirabile semplicità, svenuta ed abbandonata sopra una sedia a’ piedi dell’estinta giovinetta, si vede la infelice madre, che più della figlia estinta apparisce, tanto l’improvviso dolore le sue bellissime sembianze deforma, ed insulta. Il desolato sposo sta dirimpetto allo spettatore, ed a fianco dell’estinta consorte, tutto ravvolto in un lungo pallio, curvo tenendosi sopra il corpo amato, e struggendosi in lagrime dirotte. Non si poteva immaginare ed eseguire attitudine e forme, che più eloquentemente rappresentassero il dolore personificato. Il più picciolo dei fratelli è posto fra le ginocchia della madre, e piange amaramente, malgrado la ignara e a simili disastri ordinariamente poco sensibile tenerella sua età. Egli tiene la mano sinistra appoggiata con forza, come suole appunto chi teme, sopra il di lei ginocchio; con la destra le tiene stretta la mano, ed ha la testa appoggiata lungo il di lei braccio. Reso timoroso dalla nuova ed improvvisa sua perdita, questo tenero fanciulletto trema che la madre pure non se gl’involi, e cerca di ritenerla, mettendo col di lei corpo in contatto quasi ogni punto del suo corpicciuolo. L’altro più adulto, vestito di una leggera tunica, è posto dietro alla di lei sedia; e prendendo con le mani il braccio della madre, tenta di fare con esso schermo agli occhi, per non veder tanto lutto. Quello di età maggiore, che vedi a capo del letto, vestito con una clamidetta, che, discendendo con quella grazia che si fece ormài compagna indivisibile dello scarpello di Canova, seconda il bel nudo di cui ricuopre solo una parte, appoggia le mani al capo-letto ferale, e sovra esse il volto lagrimoso. Dal dolore trafitto male si regge in piedi; le sue ginocchia vacillano; caderebbe, se la sponda del letto medesimo non gli servisse d’appoggio. L’epigrafe breve, appassionatissima, che sta rinchiusa fra due faci rovesciate, ed incisa sopra il Monumento, che forma base al quadro, serve a viepiù farci conoscere l’immenso dolore di questa madre sventuratissima, ed il tristo, caldissimo, ed unico voto del suo cuore. Già essa più non vive che in quel sepolcro; già essa lo riguarda come l’abitazione sua propria, come il solo mezzo che riunirla possa all’amata sua figlia. mater infelicissima, dic’ella, filiae et sibi.